Pier Luigi Ighina (Milano, 23 giugno 1908 – Imola, 8 gennaio 2004) è stato uno pseudoscienziato italiano.
I suoi studi ed esperimenti si basano su teorie che condividono alcuni aspetti con quelle di Wilhelm Reich sull'orgone e non sono riconosciute dalla comunità scientifica.
L'atomo magnetico
In questo periodo, le sue ricerche lo portarono a delineare il concetto di ritmo magnetico Sole-Terra, un'ipotesi che restò priva di riscontri scientifici.
Ighina basava tutte le sue invenzioni sulla "filosofia della spirale". Questa filosofia, che egli riconduceva alla filomazia, sostiene lo studio e le applicazioni della lettera simbolica pi
contenente il numero aureo e quindi il principio che tutta la materia
sia pervasa di frattali in stretto collegamento psico-fisico tra loro.
Ighina riteneva che tramite l'applicazione di questo ipotetico
"principio filomatico" si sarebbe potuta migliorare la vita dell'uomo
attraverso la costruzione di "artefatti elettromagnetici".
Durante i suoi studi lo pseudoscienziato dichiarò nel suo libro di
aver scoperto ed osservato l'"atomo magnetico" tramite un particolare
microscopio di sua invenzione, e di averlo diviso in monopoli magnetici: il monopolo positivo sarebbe l'energia solare, che arriva alla terra in forma spiraliforme e riscalda tramite frizione,
mentre dalla terra partirebbe il monopolo negativo che si ricondurrebbe
al sole tramite un ciclo a spirale contraria. Lo scontro tra queste due
ipotetiche particelle pulsanti creerebbe la vita e la materia, ognuna
caratterizzata da un proprio ritmo.[1]
Sempre secondo Ighina, al centro del sole vi sarebbe un cuore magnetico che pulsa al ritmo del cuore umano [2]
Il ritorno a Imola e le presunte invenzioni
Nel 1937, il medesimo anno della morte di Marconi, Ighina ritornò a
Imola, andando a vivere presso il marito della sorella. Ad Imola fondò
il "Centro internazionale di studi magnetici" in viale Romeo Galli 4,
che nonostante il nome prese la forma di una associazione senza fini
accademici.
Ighina sosteneva, grazie alle invenzioni da lui rivendicate, di poter rigenerare cellule morte, allontanare terremoti e allontanare o avvicinare nuvole.[5]
Un resoconto di queste attività venne pubblicato in un libro del 1954, L'atomo magnetico
che raccoglieva idee quali una "valvola antisismica", ipotetici metodi
alternativi per la trasmissione di immagini televisive, ipotesi su come
effettuare analisi del suolo in profondità, annullare radiazioni e
inquinamento e produrre energia elettrica dal nulla. Nessuna di queste
invenzioni risulta mai testata in condizioni di verifica sperimentale né
brevettata: Ighina stesso, in una intervista a Report
rilasciata all'età di 90 anni, affermò che tutte le volte che ha
proposto a qualcuno le sue "invenzioni" non ha mai avuto riscontri
positivi, spiegando ciò con motivazioni di natura complottistica. Ad esempio a proposito della "macchina della pioggia" Ighina disse: «Ho mandato questa idea in Africa. Sa cosa mi hanno detto? Se la prenda e la porti via perché noi guadagniamo sulla mancanza di acqua» [6].
Ha inoltre dichiarato di non voler brevettare alcuna delle sue
invenzioni, perché «il sapere è una cosa comune ed è giusto che venga
utilizzata da tutti» [7].
La "macchina della pioggia" era un marchingegno composto da una
grossa elica da elicottero rivolta verso l'alto, e da due gruppi di
tubi, i primi si trovano in superficie, i secondi sottoterra. Entrambi
erano caricati con polvere di alluminio. Secondo l'ipotesi di Ighina, non supportata da alcun riscontro scientifico, i tubi si caricherebbero con l'energia solare
che sarebbe poi usata per produrre l'allontanamento delle nuvole
qualora l'energia emessa fosse di "polarità positiva" (in quanto
entrerebbe in contrasto con la presunta "polarità positiva" delle
nuvole), mentre qualora l'energia rilasciata dai tubi fosse "negativa"
tale polarità farebbe sì che si inneschi un processo di attrazione che
determinerebbe l'avvicinamento delle nuvole fino al raggiungere uno
stato di nuvolosità che permette lo scatenarsi della pioggia.[8]
Luigi Fanton, collaboratore di Ighina, sostiene che questi, dopo aver
dichiarato che l'esperimento era riuscito, rifiutava di dimostrarlo di
fronte ad altri, sostenendo di aver smontato i macchinari per costruirne
altri.[2]
Ighina sosteneva di temere per la sua vita a causa di quella che
riteneva la "scomodità" delle sue invenzioni: in un'intervista a Report
affermò: "Se mi prendono mi fanno fuori".[9]
Ighina morì a 95 anni nella sua casa di Imola; ancora oggi alcune sue idee hanno un seguito tra gli appassionati di pseudoscienze e nell'ambiente del complottismo, pur non avendo ottenute prove di funzionamento pratico e non essendo riconducibili alle conoscenze scientifiche assodate.
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