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martedì 21 maggio 2013

Estratti dal libro "libro religioni del mondo" di Huston Smith


Abbiamo bisogno del coraggio come pure dell'inclinazione per consultare e trarre vantaggio dalle "tradizioni sapienzali dell'umanità".

Nel 1970 scrissi di un "mondo post-tradizionale". Oggi sono convinto che soltanto le tradizioni vive rendano possibile l'esistenza di un mondo. Robert Nelly Bellah

La terza considerazione è l'univeralità: ogni religione mescola principi universali con particolarismi locali. I primi, una volta fatti emergere e chiariti, parlano alla parte genericamente umana di noi tutti, laddove i secondi, ricche miscele di riti e leggende, non sono facilmente acessibili agli osservatori esterni.

Quando si passano al vaglio le religioni alla ricerca di queste verità, ne appare un volto diverso e più pulito. Diventano le tradizioni spaienzali del mondo. Vanno sempre più somigliando a banche dati che ospitano la più perfezionata saggezza della razza umana. Dato che questo testo si concentra proprio su queste riserve di pazienza, si sarebbe potutto anche intitolare: "Le grandi tradizoni sapienziali del mondo".

Infatti, che cosa vogliamo? E' facile dare una risposta semplice, non altrettanto fornirne una buona.

Quando però i desideri sfrenati divengono l'ambizione principale diventa impossibile soddisfarli. Questi beni, infatti, non costituiscono l'oggetto reale del proprio desiderio. E non si può avere mai abbastanza di quello che non si vuole veramnete. Nel linguaggio hindu: "Tentare di soddisfare il desiderio di richezza con il denaro è come cercare di spegnere un fuoco versandoci sopra del burro". An
che l'Occidente ne sa qualcosa. "La povertà consiste non nella diminuzione dei propri beni, ma nell'aumento della propria avidità", scrisse Platone, e Gregorio Nazianzeno, da buon teologo, avalla questa tesi aggiungendo: "Potreste anche procurarvi tutta la richezza di questo mondo, ne rimarebbe ancora latrettanta la cui mancanza vi renderebbe poveri". "Il successo è uno scopo senza un punto di sazietà", ha scritto recentemente uno psicologo, e un gruppo di sociologi che ha analizzato una città americana del Midwest ha riscontrato che "sia gli uomini d'affari che i lavoratori più umili, che sudano sette camicie per guadagnarsi lo stipendio, si tengono al passo con la assai più rapida crescita dei loro desideri individuali".

Nel lunghissimo periodo, infatti, l'induismo fa una distinzione familiare anche all'Occidente, quella tra età sul piano anagrafico, ma su quello psicologico uno potrebbe essere ancora infantile, mentre l'altro pienamento adulto. Per gli hindu la distinzione copre più vite...

Infatti, per quanto in un senso molto lato si possa contemplare una religione incentrata sul culto dell'io, la religione autentica comincia con la ricerca del senso e del significato al di là dell'egocentrismo. Essa rinuncia alle pretese finalistiche dell'ego. (...) Lo spostamento segna il primo grande passo nella religione in quanto produce la religione del dovere, che, dopo piacere e successo, n
ella prospettiva hindu rappresenta il terzo grande scopo nella vita. Il suo potere sugli individui maturi è incredibile. Innumerevoli persone hanno trasformato la volontà di ricevere in volontà di dare, la volontà di guadagnare in volontà di servire. Non per trionfare ma per fare del proprio meglio: comportarsi responsabilmente, qualsiasi sia il compito assegnato, è diventato il loro obiettivo primario.

al se umano è sottesa una riserva di essere che lo anima e che non muore mai, non si esaurisce mai e non ha limiti in termini di consapevolezza e di beatitudine. Tale centro infinito di ogni vita , questo se nascosto o Atman, non è altro che Brahman, la divinità. Fatto di corpo, personalità e Atman-Brahman, un se umano non è descritto in modo esauriente finchè non vengono messe a fuoco tutte e 3
le componenti. Se però questo è vero e davvero siamo infiniti nella nostra essenza, perchè ciò non emerge in tutta evidenza? Perchè non ci comportiamo di conseguenza? (...) La risposta, dicono gli Hindu, sta nella profondità a cui l'Eternità è sepolta, sotto la quasi impenetrabile massa di distrazioni, falsi presupposti e amor proprio istintivo che abbracciano la superficie del nostro se. Una lampada può essere coperta di polvere e sporcizia da oscurare completamente la luce che emette. Il problema che la vita pone al se dell'uomo è di purificare le scorie del proprio essere al punto he il suo centro infinito possa risplendere in piena luce.


Come ci si potrebbe sentire delusi per una sconfitta se si sperimentasse ugualmente come propria la gioia della vittoria altrui? Allo stesso modo, come potrebbe toccarci l'essere passati in una promozione, se riuscissimo a godere anche noi del successo ottenuto dal nostro rivale?

Rispetto ai bambini noi siamo maturi, ma rispetto ai santi siamo bambini.

Le upanisad parlano di una "conoscenza di Quello la cui conoscenza porta la conoscenza di tutto". Probabilmente qui "tutto" non implica un'onniscenza in senso letterale, ma con più probabilità si riferisce a un'intuizione che dischiude il senso di ogni cosa.

La parola yoga deriva dalla stessa radice dell'inglese yoke (e dall'italiano giogo), che veicola un duplice significato: Unire (accopiare) e sottoporre a un addestramento disciplinato (soggiogare, passare sotto il gioco). Nel vocabolo sanscrito sono presenti entrambe le connotazioni. Pertanto, in una definizione generale, yoga si riferisce a un metodo formativo, mirato a portare all'integrazione o all'unione.

Ciò che è peculiare all'induismo è l'attenzione che ha prestato all'identificazione dei tipi-base di personalità spirituale spirituale e alla disciplina che ha la maggiore probabilità di funzionare con ciascuna. Il risultato è il riconoscimento, che pervade tutta la religione, che sistono molteplici strade per raggiungere Dio e ciascuna richiede la propria particolare modalità di viaggio. In base
al calcolo hindu, i tipi-base di personalità spirituale ammontano a quattro. Alcune persone sono principalmente riflessive. Altre sono fondamentalmente emotive. Altre ancora sono essenzialmente attive. Infine alcuni sono inclini alla sperimentazione. Per ciascun tipo di personalità spirituale dell'induismo prescrive un tipo di yoga particolare, mirato a far tesoro del punto di forza specifico di ciascun tipo.

L'Atman (Il Dio interiore) deve traformarsi da concetto in consapevolezza. Per questo progetto viene proposta una serie di modi per riflettere. Per esempio, si può magari consigliare al discepolo di esaminare il linguaggio quotidiano e meditare sulle sue implicazioni. La parola " mio" implica sempre una distinzione tra il possessore e l'oggetto posseduto; quando parlo del mio libro o della mia giacca, non penso di essere tali cose. Ma parlo anche del mio corpo, della mia mente o della mia personalità, dimostrnado in un certo senso che mi considero separato anche da questi. Cos'è questo "sè" che possiede il mio corpo e la mia mente, ma non coincide con essi?

Il nostro termine "personalità" deriva dal latino persona, che originariamente si riferiva alla maschera indossata da un attore quando saliva sul palcoscenico per recitare, la maschera attraverso (per) cui faceva risuonare (sonare) la parte stessa. La maschera stava a indicare il ruolo, mentre dietro di essa l'attore rimaneva nascosto e anonimo, lontano dalle emozioni che rappresentava. La perfezi
one, dicono gli hindu, sta in questo, dal momento che i ruoli sono esattamente equivalenti alle nostre personalità, delle quali siamo temporaneamente investiti per quella che è la più grande delle tragicommedie, il dramma della vita, dove siamo al contempo co.autori e attori. Come una brava attrice dà il meglio di sè alla propria parte, così anche noi dovremmo recitare pienamente la nostra. Il nostro errore sta nel confondere la parte che ci è assegnata attualmente con ciò che siamo realmente. Il compito della yogini è correggere questa faòsa identificazione. Rivolgendo all'interno la propria consapevolezza, deve perforare i diversi strati della propria personalità, finchè, avendo inciso in tutti, non raggiunga l'attrice anonima, gioiosamente disinteressata che risiede al suo interno.

Tu sei colui di cui non c'è altro vedente, udente, pensante o agente.

Nasce così la storia dello yogi che, mentre sedeva in meditazione sulle rive del Gnage, vide cadere nell'acqua uno scorpione. Lo tirò fuori e ne ottene soltanto di essere punto. Lo scorpione ricadde subito nell'acqua; di nuovo lo yogi lo salvo e fu punto ancora. La sequenza si ripetè altre due volte, finchè un passante domandò allo yogi: " Perchè continui a salvare lo scorpione quando la sua sola forma di gratitudine è di pungerti?" Lo yogi rispose: "Pungere è nella natura degli scorpioni. Aiutare gli altri quando possono è nella natura degli yogi".

Le persone sono perennemente impegnate nel tentativo di impadronirsi della Realtà con le parole, ma finiscono poi per scoprire che il mistero deplora i loro discorsi e i loro balbettii sono inghiottiti dal silenzio. Il problema nonsta nel fatto che la nostra mente non è abbastanza brillante, ma è più profondo. La mente, intesa nel suo significato comune e ordinario, è il tipo di strumento sbagli
ato per quest'impresa e il risultato è quello che si otterebbe cercando di svuotare l'oceano con una rete o prendere al lazo il vento. La venerata preghiera di Sankara, il Tommaso d'Aquino dell'induismo, inizia con l'invocazione: "O tu al cui cospetto ogni parola tace". La mente umana si è evluta per facilitare la sopravvivenza del mondo naturale e si è adattata a gestire oggetti finiti. Dio, al contrario è infinito e appartiene a un ordine di realtà diverso da quello che il nostro cervello riesce a cogliere. Aspettarsi che la nostra mente circoscriva l'infinito è come chiedere a un cane di capire l'equazione di Einstein con il fiuto. L'analogia diventerebbe fuorviante se , spinta in una direzione diversa, insinuasse che non potremmo mai conoscere il Dio abissale. Gli yoga, come abbiamo visto, sono vie che sfociano proprio a questa consapevolezza. Eppure, la conoscenza a cui conducono trascende la conoscenza attinta dall'intelletto razionale, perchè si eleva all'oscurità profonda ma abbagliante della coscienza mistica.

Tommaso da Kempen: "Vi è un'incomparabile distanza tra le cose che gli uomini immaginano attraverso la regione naturale e quelle che gli uomini illuminati afferrano tramite la contemplazione."

Semina un pensiero e raccogli un'azione, semina un'azione e raccogli un'abitudine, semina un'abitudine e raccogli un carattere; semina un carattere e raccogli un destino.

Gli hindu hanno una concezione simile in testa quando parlano di maya. Il mondo si manifesta come la fente lo percepisce in stato di normalità, ma ciò non giustifica il pensiero che la realtà di per sè sia così. Un bombetto che veda il primo film in vita sua prenderà le immagini in movimento per oggetti reali, senza rendersi conto che il leone che riggisce dallo schermo viene proiettato da una ca
bina sul retro della sala cinematografica. Lo stesso vale per noi: il mondo che vediamo è condizionato, e in tal senso proiettato, dai nostri meccanismi percettivi. Per cambiare metafora, i nostri recettori sensoriali registrano soltanto una fascia ristretta di onde elettromagnetiche. Con l'ausilio di microscopi e altri amplificatori, possimao scoprire altre lunghezze d'onda, ma per conoscere la realtà di per sè dobbiamo coltivare la supercoscienza. In questo stato i nostri recettori cesserebbero di rifrangere, come un prisma, la luce pura dell'essere in uno spettro di mplteplicità. La realtà verebbe conosciuta come essa effettivamente è: una, infinita, incontaminata.

La verità è una sola; i saggi le danno nomi diversi.



la traduzione corrente del termine guru è "colui che dissolve l'ignoranza o dirama l'oscurità, gu, e porta l'illuminazione ru.

Buddhismo

"Io sono risvegliato", diceva il Buddha. La risposta divenne il suo il suo appellativo, poichè questo è il significato del termine "Buddha". La radice sanscrita budh denota sia "svegliarsi" che "conoscere". Buddha, dunque, significa l' "Illuminato" o il "Risvegliato".

"Com'è duro vivere la vita di chi dimora solitario nella foresta (...) gioire della solitudine. In verità , il silenzio dei boschi pesa così tanto sul monaco che non ha ancora ottenuto la concetrazione della mente!"

Eppure gli esperimenti negativi portano con sè utili lezioni e nel caso specifico il fallimento dell'ascetismo fornì a Gautama il primo caposaldo del suo programma: il principio della Via di Mezzo tra gli estremi dell'ascetismo, da un lato, e dell'indulgere nei piaceri , dall'altro. Si tratta del concetto di razionamento delle risorse vitali, in cui si dà al corpo ciò di cui ha bisogno per funzionare al meglio, ma niente di più.

Il Glorioso gettò lo sguardo sulla compagnia silenziosa e disse: "Dunque, discepoli, vi ho convocato qui per dichiarare se troviate o meno qualche difetto in me, nelle mie parole o nei miei atti". E quando uno degli allievi prediletti esclamò: "Sono certo, o venerabile, che non c'è mai stato, non ci sarà mai, ne esiste ora un asceta o brahmana che sia superiore in sapienza al Beato", il Buddha lo
ammonì: "Forse tu conosci tutti gli arahant del passato, i perfettamente risvegliati?". "No venerabile!". "O forse, Sariputta, tu conosci tutti gli arahant del futuro, i perfettamente risvegliati?". "No, venerabile". "Forse allora, o Sariputta, tu conosci me come arahant, un perfettamente risveglato, avendo penetrato la mia mente?". "No, venerabile!". "Allora, Sariputta, come hai potuto parlare in maniera ferma con la voce da toro, ruggire come un leone?".

Una seconda caratteristica è il rito, che ha effettivamente rappresentato la culla della religione stessa, giacchè gli antropologi ci dicono che i popoli esprimevano la propria religiosità nella danza molto prima di elaborarla concettualmente. La religione sorse dalle feste e dal suo contrario, il lutto...

In un'epoca in cui le moltitudini confidavano passivamente nei brahamani, perchè dicessero loro cosa fare, il Buddha sfidò le singole persone a compiere una ricerca religiosa personale: "Non accettate quel che sentite dire indirettamente, non accettate la tradizione, non accettate un'affermazione perchè si trova nei nostri libri, nè perchè è una frase pronunciata dal vostro maestro. Siate lampade per voi stessei. Coloro i quali, ora o dopo la mia morte, si affideranno a se stessi soltanto e non cercheranno assistenza da nessun altro che se stessi, costoro raggiungeranno le massime altezze".

La vita essendo "una", tutto ciò che tende a separare un aspeto di essa da un altro deve necessariamente causare sofferenza al singolo che, sia pure inconsciamente, opera in questo modo contro la Legge. Il dovere dell'uomo verso i suoi fratelli è comprendere che essi sono dei prolungamenti, degli aspetti diversi, di lui stesso, altri lati di una stessa poliedrica Realtà di cui egli è un lato

Quando ammetteremo finalmente che la salute è contagiosa quanto la malattia, la virtù contagiose quanto il vizio, l'allegria contagiosa quanto la malinconia?

Retta Parola. Nei tre passi successivi, prendiamo in mano gli interuttori che controlllano la nostra vita , iniziando dall'attenzione al linguaggio. Il nostro primo compito consiste nell'acquisire la consapevolezza delle nostre parole e di quanto esse rivelano del nostro carattere. Invece di cominciare a non dire nient'altro che la verità, intento che all'inizio si dimostrerà probabilmente vano pe
rchè tropo avanzato, faremo bene a prenderla più da lontano, decidendo di far caso a quante volte al giorno deviamo dalla verità, analizzando poi il motivo per cui l'abbiamo fatto. Analogo discorso vale per le parole ingenerose pronunciate. Non si inizia decidendo di non pronunciare mai una parola scortese, ma vigilando sul proprio linguaggio, per diventare consapevoli delle motivazioni che suscitano in noi la scortesia. Una volta abbastanza padroni di questo primo passo, saremo pronti a sperimentare qualche cambiamento. Sarà stato preparato il terreno dato che, acquista la consapevolezza di come parliamo, se ne evidenzierà il bisogno. In quali direzioni i cambiamenti dovrebbero procedere? La prima è verso la veridicità. Il Buddha affrontava la verità da un punto di vista più ontologico che morale e considerava l'inganno più sciocco che malvagio, oichè sminuisce il proprio essere. Perchè, infatto inganniamo? Al di là delle giustificazioni, la motivazioni è quasi sempre la paura di rivelare agli altri o ai noi stessi chi siamo veramente. Ogni volta, infatti, che acconsentiamo a pagare questo "dazio protettivo", le pareti del nostro ego si ispessiscono per imprigionarci ancor di più. Aspettarci di fare a meno delle nostre difese in un colpo solo sarebbe irrealistico, tuttavia è possibile acquisirne la consapevolezza in maniera graduale e riconoscere i modi in cui esse ci imprigionano. La seconda direzione in cui le nostre parole dovrebbero andare è verso la carità. Falsa testimonianza, vano chiachiericcio, pettegolezzi, calunnie e insulti vanno evitati, non soltanto nelle loro forme palesi, ma anche in quelle subdole: gli sminuimenti sottili, le "casuali" mancanze di tatto, le battutte che feriscono sono spesso più cattive perchè la loro intenzione è velata.

Mi ha insultato, mi ha picchiato, mi ha sopraffatto, mi ha derubato- Non si placherà mai l'odio di coloro che alimentano questi pensieri.

in Cina l'autore del Tao te ching esprimeva il concetto con un'immagine diversa: "Chi fa i passi più lunghi non arriva più lontano".

Riguardo alla potenzialità della mente, tra i filosofi occidentali è Spinoza quello che si avvicina di più al Buddha. La sentenza spinoziana secondo cui  "capire qualcosa significa liberarsene" è praticamente una sintesi di tutta la sua etica. Il Buddha sarebbe stata d'accordo.

(Retta presenza mentale)
Tramite questa pratica si giunge a una serie di intuizioni: 1) ogni emozione, pensiero, o immagine è accompagnato da una sensazione corporea o viceversa; 2) si individuano i meccanismi ossessivi in ciò che sorge nella mente e si comprende che costituiscono la nostra sofferenza (dhukka). Per alcuni si tratta di curare vecchie ferite; altri si trovano alle prese con desideri e autocommiserazione; altri ancora si sentono semplicemente sperduti. Con la pratica continua la morsa ossessiva  di questi schemi mentali si allenta; 3) ogni stato mentale e fisico è fluido; nessuno è solido e duraturo. Perfino il dolore fisico è composto di una serie di sensazioni separate che possono d'un tratto mutare; 4) il meditante si rende conto dello scarso controllo che abbiamo sulla nostre mente e sulle nostre sensazioni fisiche  e della scarsa consapevolezza che normalmente abbiamo nelle nostre reazioni; 5) il punto più importante è realizzare che dietro gli accadimenti mentali/fisici non c'è nessuno che gli orchestri. Quando viene affinata la capacità di attenzione microscopica, diventa ovvio che la consapevolezza stessa non è continua. Come la luce di una lampadina, il processo di accensione e spegnimento è talmente rapido da far sembrare che la consapevolezza sia stabile, mentre in effetti non lo è. Tramite queste intuizioni, la convinzione nell'esistenza di un io separato comincia a svanire.

Potremmo cominciare con nirvana, il termine che il Buddha utilizzava per denominare la meta della vita. Etimologicamente proviene a "spegnere" o "estinguere", non in senso transitivo, ma come un fuoco che cessi di alimentarsi. Privato dal carburante, il fuoco si spegne, e questo è il Nirvana… …Nirvana rappresenta il destino più alto dello spirito umano e il suo significato letterale è estinzione, ma dobbiamo essere precisi su che cosa si debba estinguere: i contorni del sè finito. …in senso positivo, rappresenta la stessa vita illimitata. Il Buddha eludeva ogni richiesta di descrizione positiva dell'incondizionato, insistendo che era "incomprensibile, indescrivibile, inconcepibile, inesprimibile": una volta che eliminiamo ogni aspetto dell'unica coscienza che abbiamo conosciuto, come possiamo parlare di ciò che resta?.

La nostra ignoranza è, in ultimo, immaginare che si possa concepire il nostro destino finale. Non possiamo sapere altro se non che si tratta di una condizione che si colloca al di là, ovvero oltre le limitazioni di mente, pensieri, sentimenti e volontà, costituendo tutti questi (per non parlare di quanto è corporeo) delle limitazioni.

Il Nirvana è Dio? Quando le si è data risposta negativa, la domanda ha condotto a conclusioni opposte. Secondo alcuni, dato che il Buddhismo non professa alcun Dio, non può essere una religione; secondo altri, essendo il Buddhismo chiaramente una religione, la religione non ha bisogno di Dio. La disputa richiede un rapido sguardo a cosa significhi la parola "Dio". Essa non ha un significato univoco, e men che meno semplice. Vanno distinti due significati per comprenderne il senso in seno al buddhismo. Un significato di Dio è quello di un essere personale che ha creato l'universo intenzionalmente. Così definito, il Nirvana non è Dio. Il Buddha non lo considerava personale, perchè una personalità richiede una definizione, che il nirvana esclude. E mentre non negava espressamente la creazione, esentava chiaramente il nirvana dall'esserne responsabile. Se l'assenza di un Dio-creatore equivale all'ateismo, il Buddhismo è ateo. Vi è comunque un secondo significato di Dio, che (per distinguerlo dal primo) è stato chiamato l'Essenza Divina. La noziene di personalità non fa parte di questo concetto presente nelle tradizioni mistiche di tutto il mondo. Affermando: "Vi è, o monaci un non.nato, un non-divenuto, un non-creato, un non-formato. Se, o monaci, non esiste (…), non si potrebbe scorgere alcuna via di salvezza da ciò che è nato, divenuto, creato, formato", il Buddha sembra collocarsi all'interno di questa tradizione… … Potremmo concludere con Conze che il nirvana non è Dio definito come creatore personale, ma che si avvicina sufficientemente al concetto di Dio  quale Essenza Divina da giustificarne il nome in quel senso.

Una sintesi della sua dottrina potrebbe essere più o meno la seguente 1) vi è una catena di cause che intesse ogni singola vita a quelle da cui ha avuto origine e a quelle che la seguiranno. La singola esistenza è nell'attuale condizione a causa del mondo in cui sono state vissute le vite che hanno condotto a essa; 2) lungo tutta questa  sequenza casuale la volontà rimane libera. L'aderenza delle cose alla legge rende la condizione attuale il prodotto di azioni precedenti, da cui, nel presente, la volontà è influenzata ma non controllata. Le persone rimangono libere di plasmare il proprio destino; 3) i due punti precedenti affermano il legame causale della vita, ma non comportano la trasmissione di una sostanza di qualche tipo. Idee, impressioni, sensazioni, flussi di coscienza, momenti preseni, questi sono tutto ciò che troviamo, senza alcun sostrato spirituale.

A sostegno delle concezioni del Buddha riguardo al karma e alla reincarnazione, si può utilizzare un'analogia: 1) i desideri e le antipatie che influenzano i contenuti della mia mente, ovvero quello a cui presto attenzione e quello che ignoro, non sono apparsi accidentalmente; hanno antecedenti precisi. Oltre agli atteggiamenti che ho acquisito dalla mia educazione, ho abitudini mentali formate che comprendono brame di varia natura, tendenze a confrontarmi con gli altri per invidia o orgoglio, e inclinazioni a sentirmi pago o, al contrario, avversioni; 2) benchè le reazioni abituali tendano a fissarsi, non sono vincolato dalla mia storia personale; posso, infatti, avere nuove idee e cambiare atteggiamento; 3) nè la continuità nè la libertà, affermate da questi due cocetti, richiedono che pensieri o sentimenti siano considerati entità, ossia cose o sostanze mentali che sono trasferite di mente in mente o di momento in momento.

Contribuisce alla comprensione della conversazione sapere che all'epoca gli indiani ritenevano che le fiamme che si spengono non si estinguano davvero, ma che tornino alla condizione di fuoco puro e invisibile a cui appartenevano prima di apparire alla vista

Quante questioni simili esistono? Quante divideranno quasi tutte le aggregazioni di persone, vuoi in India, New York o Madrid? Ne vengono in mente tre.
La prima: se le persone siano o meno dipendenti o interdipendenti. Alcune sono molto più che coscienti della propria individualità: per loro, la propria libertà e intraprendenza sono più importanati dei vincoli che hanno. Quale ovvio corollario, ritengono che ciascuno si costruisca da sè il suo percorso nella vita e ciò che ottiene sarà prevalentemente opera sua: "Sono nato in un quartiere degrasato, mio padre era un alcolizzato, tutti i miei fratelli e sorelle sono finiti male; non mi si parli di elementi ereditari o di ambiente. Sono arrivato dove sono da solo!". E questo è un atteggiamento. Dall'altra parte della barricata vi sono coloro per cui prevale l'interconnessione della vita. A loro la separatezza delle persone appare tenue; si concepiscono sostenuti e trasportati da campi sociali forti quanto quelli della fisica. i corpi umani sono naturalmente separati, ma a un livello più profondo siamo uniti come iceberg in una banchisa comune: "Non chiedere per chi suoni  la campana. Essa suona per te".
La seconda questione riguarda la relazione in cui si pongono gli esseri umani, stalvolta non con i loro simili, ma nei confronti dell'universo. L'universo è amico, complessivamente al servizio delle creature? Oppure è indeferentemente, se non ostile? Le opinioni differiscono… …Alcuni vedono la storia come un progetto totalmente umano, nel quale l'umanità si eleva a forza di olio di gomito, altrimenti il progresso non si realizza. Per altri è alimentato da "un potere superiore che consente il bene". 
Una terza questione fonte di divisione è la seguente: "Qual'è la parte migliore dell'essere umano, la testa o il cuore?"… … I classicisti collocano i pensieri i pensieri al di sopra dei sentimenti, ma per i romantici è l'opposto. I primi ricercano la sapienza; i secondi, posti di fronte all'alternativa, preferiscono la compassione.

C'è un Buddha in ogni granello di sabbia.

Questo corpo è l'albero del Bodhi,
La mente è come uno specchio lucente;
Abbi cura di mantenerlo sempre pulito
E non lasciare che la polvere vi si accumuli.

Non vi è albero del Bodhi,
Nè sostegno di lucido specchio
Poichè tutto è vuoto,
Dove può posarsi la polvere?

pur avendo innumerevoli usi, le parole presentano tre limiti. Nel peggiore dei casi, costruiscono un mondo artificiale, in cui i nostri reali sentimenti vengono camufatti e le persone ridotte a stereotipi. Secondo, anche quando le loro descrizioni sono ragionevolmente precise, le descrizioni non sono le cose descritte, allo stesso modo in cui  i menu non sono i pasti che elencano. Infine, come sottolineato dai mistici, le nostre esperienze più elevate sfuggono quasi completamente alle parole.

Un racconto dopo l'altro, i discepoli interrogano sullo Zen i propri maestri, da cui ricevono per tutta risposta  soltanto un ruggente "Ho!". Il maestro vede, infatti, che attraverso quegli interrogativi i ricercatori tentano di colmare i vuoti della propria vita con parole e concetti, invece che con esperienze consapevoli.

La relazione dello Zen con la ragione risponde semplicemente a un duplice obiettivo. Primo, la logica e la descrizione zen hanno senso soltanto da una prospettiva esperienziale radicalmente diversa dall'ordinario. Secondo, i maestri Zen pretendono che i discepoli conseguano l'esperienza stessa, non permettendo alle parole di prendere il suo posto.

In Occidente confidiamo talmente nella ragione da costringerci a ricordare che nello Zen siamo alle prese con una prospettiva basata sulla convinzione che la ragione è limitata e de ve dunque essere integrata da un'altra modalità di conoscenza. Per lo Zen, pur non equivalendo a una palla al piede ancora la mente al terreno, la ragione è almeno una scala troppo corta per raggiungere la vetta suprema della verità. Va dunque superata ed è proprio questo superamento che i koan dovrebbero facilitare. Se alla ragione appaiono scandalosi, dobbiamo ricordare che lo Zen non cerca di placare la mente ordinaria. Intende fare il contrario: sconvolgere la mente, ovvero scardinare gli equilibri e alla fine provocarne la ribellione contro i canoni che la imprigionano. Così, però, addomestichiamo troppo la questione. Costringendo la mente a lottare contro quanto, dal suo punto di vista, rappresenta un'assoluta assurdità e forzandola a mettere assieme cose che sono normalmente incompatibili, lo Zen cerca di spingere la mente in uno stato di agitazione, nel quale essa si scaglia contro la logica che la ingabbia con la disperazione di un topo in trappola. Tramite il paradosso e la contraddizione logica lo Zen provoca, eccita, esaspera e alla fine porta all'esaurimento la mente finchè essa non vede che il pensare non è mai più che pensare a o che il sentire non è altro che il sentire di. A quel punto, avendo condotto la mente dove vuole che arrivi, ossia che sia bloccata in un'impasse, lo Zen conta un'improvvisa intuizione, capace di colmare il divario tra esperienza indiretta e diretta.
La luce irrompe su destini segreti,
(…)
Dove la logica muore,
Il segreto cresce a vista d'occhio.

Guardando una banconota, si può essere mossi dal desiderio di possederla ma, guardando un tramonto, ciò non può succedere. Il conseguimento zen equivale a guardare il tramonto. Dacchè richiede la massima consapevolezza, questioni quali "consapevolezza di chi?" o "consapevolezza di che cosa?" semplicemente non emergono: i dualismi si dissolvono. In quel mentre si è invasi da un senso di gratitudine verso il passato e di responsabilità rispetto alle cose presenti e future.

"Qual'è il più miracoloso dei miracoli?". "Che io sieda in silenzio da solo".

Tutto è uno, uno è nessuno, nessuno è tutto."

"La via perfetta non conosce difficoltà
Eccetto quella che rifiuta di fare distinzioni;
Soltanto quando liberata da odio e amore
Essa si rivela completamente e senza maschera;
Un decimo di millimetro di differenza,
E cielo e terra sono separati.
Se desideri vedere ciò davanti agli occhi tuoi
Non avere pensieri fissi nè pro nè contro.

Esaltare ciò che ti piace contro ciò che non ti piace
E' la malattia della mente:
(…)

La via è perfettamente simile a uno vasto spazio,
Manchevole di nulla, con nulla di superfluo.
E' davvero dovuto al fare una scelta
Che della sua Medesimezza la vista si perde.
(…)

Uno in Tutto.
Tutto in Uno -
Se soltanto questo viene compreso,
Non devi avere più preoccupazione alcuna sul tuo non essere perfetto
(…)
Questo è dove le parole non servono;
Difatti ciò non è del passato, presente e futuro."

Perfino il vero e il falso appaiono in modo diverso. "Non ricercare la verità. Cessa semplicemente di avere opinioni".

L'intuizione geniale dei grandi pionieri del Tantra fu la scoperta di upaya (abili mezzi) per far fluire le energie fisiche all'interno dei canali sottili che fanno procedere lo spirito, invece di sviarlo. I canali principali sono legati al suono, alla visione e al movimento di cui abbiamo appena parlato, e i nomi degli upaya cominciano tutti per m: i mantra trasformano il rumore in suono e il cicaleccio disturbante in formule benedette; i mudra rendono la gestualità delle mani una danza sacra: i mandala offrono allo sguardo icone la cui santa bellezza attira l'osservatore.

Confucianesimo

Non è da gentiluomo non dispiacersi se i propri meriti vengono ignorati?

Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi.

Preoccupatevi piuttosto se non riconoscete i meriti degli altri.

Zigong chiese come fosse l'autentico gentiluomo. Il Maestro rispose: "Predica solo quel che pratica".

La vera sapienza consiste nel riconoscere di sapere quello che si sa e di non sapere quello che non si sa.

Zigong chiese: "Qual'è il migliore, Zizhang o Zixia?". Il Maestro rispose: "Zizhang tira oltre il bersaglio, Zixia non lo raggiunge". Zizong disse: "Allora Zizhang è il migliore?". Il maestro disse: "Entrambi mancano il bersaglio".

Quando incontrate un uomo di valore, cercate di emularlo. Quando incontrate un uomo che ne è privo, esaminate voi stessi.

Quando la tradizione cessa di essere adeguata a tenere insieme la società, la vita umana affronta la crisi più grave che possa capitarle. Si tratta di una crisi che il mondo moderno non dovrebbe avere difficoltà a comprendere, dal momento che in anni recenti essa è tornata ad anosciare l'umanità in forma acuta. Gli Stai Uniti ne forniscono l'esempio più lampante: per l'abilità nel saper assorbire
popoli con radici nazionali ed etniche differenti si sono guadagnati la reputazione di melting pot; ma, mentre indebolivano le tradizioni che i gruppi di immigrati portavano con sè, gli Stati Uniti non hanno fornito un'alternativa convincente. In questo modo sono finiti per essere la nazione con la società più " a-tradizionale" che la storia abbia conosciuto. Quale alternativa alla tradizione, gli Stati Uniti hanno proposto la ragione. Istruisci ed informa i cittadini, e potrai contare sul fatto che si comportino sensatamente: ecco la fede nell'Illuminismo di stampo jeffersoniano su cui gli Stati Uniti furono fondati. Questo non è avvenuto. Fino a poco tempo fa leader mondiale nel campo dell'istruzione, gli USA dominano parimenti le classifiche mondiali di tasso di criminalità, delinquenza e divorzi.

Attacchi reciproci ta gli Stati, usurpazioni reciproche tra caste, ferite reciproche fra individui, queste sono (fra) le massime calamità al mondo.
Ma da dove derivano queste calamità?
Derivano dalla mancanza di amore reciproco. Al giorno d'oggi, i signori feudali hanno imparato ad amare soltanto il proprio Stato e non quelli altrui. Perciò non si fanno scrupoli ad attaccare altri Stati. I capi de
lle casate hanno imparato ad amare soltanto la propria casata e non quelle altrui. Perciò non si fanno scrupoli a usurpare le altre casate. E gli individui hanno imparato ad amare soltanto se stessi e nessun altro. Perciò non si fanno scrupoli a ferire gli altri. Pertanto tutte le calamità, i conflitti, le proteste e le ostilità al mondo sono derivate dalla mancanza di amore reciproco.
Come possiamo veder modificata questa condizione?
Va modificata per via dell'amore universale e dell'aiuto vicendevole.
Ma qual è la via dell'amore universale e dell'aiuto vicendevole?
Si tratta di considerare lo stato degli altri come fosse proprio, le casate degli altri come la propria, gli altri come se stessi. Quando tutte le persone del mondo si ameranno reciprocamente, allora la volontà forte non prevaricherà su quella debole, la maggioranza non opprimerà la minoranza, i ricchi non derideranno i poveri, i potenti non disdegneranno gli umili e gli scaltri non inganneranno i semplici. Ed è totalmente grazie all'amore reciproco che si previene il sorgere di calamità, conflitti, proteste e ostilità.
Mozi così controbatteva quando lo accusavano che la sua insistenza sull'amore fosse sentimentale e poco pratica: "Non fosse utile, anch'io lo disapproverei. però, come può esistere alcunchè di buono che sia inutile?".
Dal momento che l'amore ovviamente è buono, e il Dio che dispone il mondo è ugualmente buono, è inconcepibile che esista un mondo in cui l'amore non ripaghi. Infatti, "chiunque ami gli altri ne è amato; chiunque rechi beneficio agli altri ne è benificato; chiunque ferisca gli altri ne è ferito".

Gli attuali teorizzatori dei modelli sociali elogerebbero il suo ragionamento (Confucio). La socializzazione, ci dicono:
deve essere trasmessa dal vecchio al giovane, e i costumi e le idee debbono essere conservati in un tessuto ininterrotto di memorie tra coloro che sono i portatori di tradizioni di generazione in generazione. (...) Quando la continuità delle tradizioni di civiltà è spezzata, la
minaccia pesa sulla comunità; e finchè quella frattura non è riparata, la comunità si frantuma in lotte di fazioni (...). Interotta la continuità, l'eredità culturale non viene più trasmessa; e una nuova generazione deve affrontare il compito di scoprire, inventare e imparare daccapo, per tentativi ed errori, gran parte di ciò che devono conoscere i custodi della società. Ma nessuna generazione può fare questo da sola.
Confucio usava un linguaggio diverso, ma lavorava sullo stesso principio.

Questa seconda natura è fatta a immagine di ciò che egli è e di ciò che diverrà la sua vita. (…) Piena ubbidienza alla comunità può essere data soltanto dalla seconda natura dell'uomo, che già governa sulla sua natura prima e primitiva e non la tratta come un fine in sè. Allora le imposizioni e le necessità e le costrizioni di una vita civilizzata cessano di essergli estranee e imposte dal di fuori: sono divenuti imperativi interiori.


JEN Jen, etimologicamente una combinazione dell'ideogramma per "eesere umano" e per "due", definisce il rapporto ideae che si dovrebbe intrattenere tra persone. Variamente tradotto come bontà, fratellanza, benevolenza e amore, è forse reso meglio con senso di umanità. Jen rappresentava la virtù per eccelenza nella visione della vita di Confucio (…) la nozione di Jen implica contemporaneamente un sentimento di umanità nei confronti degli altri e di rispetto verso se stessi, un senso invisibile della dignità della vita umana ovunque essa appaia. Seguono di conseguenza alcuni atteggiamnti sussidiari: magnanimità, buona fede e carità. Nello  jen si incontra la perfezione di tutto ciò che rende una persona supremamente umana.  Nel contesto della vita pubblica esso suscita un'instancabile diligenza. Nella vita privata, viene espresso nella cortesia, nell'abnegazione e nell'empatia , ovvero nella capacità di "misurare i sentimenti degli altri tramite i propri". Per dirla con un'affermazione negativa, l'empatia conduce a quella  che è stata chiamata la Regola d'Argento: " Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto avoi", ma non c'è ragione di fermarsi a questa definizione, giacchè Confucio espresse il concetto anche nella sua variante positiva : " La persona dotata di Jen, cercando di affermare se stessa, cerca altresì l'affermazione altrui". Questa grandezza di cuore non conosce confini nazionali giacchè chi è dotato di Jen sa che "tra i quattro mari tutti gli uomini sono fratelli e sorelle".

CHUN TZU. Il secondo concetto è quello di chun tzu. Se Jen è la relazione ideale tra gli esseri umani, chun tzu si riferisce ai termini ideali in questo rapporto. E' stato tradotto come "persona superiore" o il "meglio dell'umanità". Forse "Persona Matura" rende ugualmente l'idea che vi si esprime. Il chun tzu rappresenta l'opposto di un individuo capriccioso, gretto meschino. Pienamente all'altezza ed equilibrato, il chun tzu ha verso la vita nel suo complesso l'atteggiamento di una padrona di casa talmente a proprio agio nel suo ambiente da sentirsi completamente rilassata, e dunque pronta a dedicarsi tutta a mettere a proprio agio gli altri. Oppure, per cambiare genere, giunto al punto di sentirsi a casa in tutto l'universo, il chun tzu attraversa l'esistenza accompagnato dalle qualità del padrone  di casa ideale. Forste di un rispetto di sè da cui si genera il rispetto per il prossimo, si avvicina agli altri chiedendosi non " Cosa posso ottonere da loro?", ma "Cosa posso fare per loro?" (…) Educato ad affrontare  qualsiasi circostanza "senza timore o paura", non si fa sviare dal successo nè si inasprisce nelle avversità. Soltanto una persona totalmente autentica, pensava Confucio, può gettare le grandi fondamenta di una società civile. Solo quando i membri fondanti della società sono trasformati in chun tzu il mondo può avanzare la pace.

Se vi è rettitudine nel cuore, vi sarà bellezza nel carattere.
Se vi è bellezza nel carattere, vi sarà armonia nella casa.
Se vi è armonia nella casa, vi sarà ordine nella nazione.
Se vi è ordine  nella nazione, vi sarà pace nel mondo.

Il signore Ji Kang chiese a Confucio dell'arte di governo, dicendo: "Che pensereste se uccidessi il cattivo per aiutare il buono?". Il maestro rispose:"Siete qui per governare, che bisogno avete di uccidere? Se desiderate il bene, la gente sarà buona. L'autorità morale del gentiluomo è come il vento, l'autorità morale dell'uomo comune è come l'erba. L'erba si piega al vento.

Quando gli fu chiesto del servizio reso agli spiriti dei morti, rispose: "Non siete nemmeno capaci di servire gli uomini, come fate a servire gli spiriti?". Interrogato sulla morte stessa, rispose:"Non conosci ancora la vita, come potresti conoscere la morte?".

Per renderci partner meritevoli del Cielo, dobbiamo essere costantemente in contatto con quella silenziosa illuminazione che fa rifulgere la rettitudine e i principi nella nostra mente-cuore. Se non siamo in grado di andare oltre le limitazioni della nostre stessa specie, il massimo che possiamo sperare è un umanesimo esclusivo, secolare, che esalta l'uomo quale misura di tutte le cose. Di contro, l'umanesimo confuciano è inclusivo; è basato su una visione "antropocosmica". L'umanità, nella sua pienezza onnicomprensiva "forma un solo corpo con il Cielo, la Terra e le cose innumerevoli", e ci mette in grado di incarnare il cosmo nella nostra sensibilità.

So che un uccello sa volare, so che un pesce sa nuotare, so che gli animali sanno correre. Le creature che corrono possono essere prese dalle reti, quelle che nuotano possono essere prese dalle reti, quelle che nuotano possono essere catturate con le trappole di vimini, quelle che volano si possono colpire con una freccia. Ma il drago supera il mio sapere:  esso ascende in cielo sulle nubi e sule ali del vento. Oggi ho visto Lao.tzu, ed è come il drago!".

Taoismo

Insomma, il saggio serve la "non-azione":
(…)
Si mette in secondo piano, ma balza in primo piano.
Non tiene al proprio corpo, eppure lo preserva.
Non è forse perchè manca di un Io che egli  può realizzarlo fino in fondo?

L'approccio del taoismo va in senso contrario: armonizzare le radici del sè con il tao affinchè il nostro comportamento sia spontaneamente fluido. Se l'azione segue l'essere, una nuova azione corrisponderà a un essere nuovo, più saggio e forte. Il Tao-te.ching esprime questo punto in modo quanto mai stringato: "La via del fare", dice "è essere.

L'abilità suprema è come l'acqua.
L'acqua sa giovare alle creature, pur non lottando mai.
Si mantiene nel luogo odiato dalla massa, e s'accosta alla Via.

Nessuna cosa al mondo è più molle o più debole dell'acqua; tuttavia, sei lei aggredisce il duro e il forte, non può avere rivali.
Niente riesce a mutarla:
la si indebolisce e diventa forte;
la si rende molle, e diventa più dura.
Certi principi son ben noti a tutti,
ma nessuno li applica.

Le cinque tinte accecano l'occhio,
i cinque suoni assordano l'orecchio,
i cinque gusti fanno la bocca insipida.
Coi cavalli lanciati, in un torneo di caccia,
si stimola il cuore alla follia.
I beni di difficile possesso
son proprio degli ostacoli all'azione.
Così, il saggio favorisce il ventre e non agisce a vantaggio dell'occhio.

Proseguendo NCOR nell'analogia dell'acqua, i taoisti respingevano ogni forma di autoaffermazione e di competizione. Il mondo è pieno di persone determinate a essere qualcuno oppure a creare guai. Vogliono prevalere, eccellere. Il taoismo dà poco spazio a un'ambizione simile.  "L'ascia si abbatte prima sull'albero più alto".
L'eretto non è stabile;
l'eccelso non agisce;
si mostra: non illumina;
s'afferma:non risplende.

Bramare di conquistare il mondo e agire;
non penso che così ci si riesca;
s'afferma: non risplende.
Lo spirito del mondo non è oggetto su cui si possa agire.
Chi agisce lo distrugge,
chi l'afferra lo perde.

Quando alcuni scalatori inglesi raggiunsero la vetta più alta del pianeta, l'impresa fu annunciata in lungo e in largo come " la conquista dell'everest". Daisetsu Teitaro Suzuki osservò: "Noi orientali avremmo parlato dell'amicizia stretta con l'Everest".

Prima di prendere in mano pennello e rotolo di seta, i pittori si immergevano nella natura per diventare, per esempio, la canna di bambù che avrebbero dipinto. Potevano trascorrere seduti una mezza giornata o quattordici anni prima di iniziare a dipingere. La parola cinese per la pittura paesaggistica è composta dalle radici di monte e acqua, il primo a suggerire vastità e solitudine, la seconda duttilità, resistenza e movimento continuo. Nella vastità l'umano ha una piccola parte, per cui dobbiamo guardare i dipinti con attenzione per trovare esseri umani, se mai ci sono. Di solito s'inerpicano con dei fagotti, oppure cavalcano un bufalo, o ancora ormeggiano una barca: è l'io con il suo viaggio da compiere, il suo fardello da portare, il suo pendio da scalare, circondato però dalla bellezza. Le persone non sono così possenti come le montagne, nè vivono tanto a lungo quanto i pini. Tuttavia anch'esse appartengono allo scenario della realtà quanto gli uccelli e le nuvole. E, come accade al resto del mondo, sono attraversate dall'incessante flusso del Tao.

Pompa e stravaganza erano considerate stupide. Quando i seguaci di Chuang-tzu gli chiesero il permesso di tributargli un funerale grandioso, lui rispose: "Cielo e terra sono la mia bara e il mio sarcofago. Il sole, la luna e le stelle sono il mio drappeggio e tutto il creato è il mio corteo funebre. Cosa voglio di più?".

Questa polarità sintetizza tutte le opposizioni fondamentali della vita: bene/male, attivo/passivo, luce/buio, estate/inverno, maschile /femminile. Ma, per quanto le metà siano in tensione, non sono in netta opposizione; si integrano e bilanciano reciprocamente. Ciascuna invade l'emisfero dell'altra e prende dimora nei recessi più profondi dell'ambito altrui. E alla fine entrambe si trovano definite dal cerchio che le circonda, il tao nella sua eterna interezza. Nel contesto di quell'interezza, gli opposti appaiono niente di più che fasi in un infinito processo ciclico, giacchè ciascuno si trasforma incessantemente nell'altro, scambiandosi di posto. La vita non si sposta in avanti e in alto verso una vetta o un polo fisso. Si ripiega ad arco su se stessa per giungere, tornando al punto di partenza, alla piena consapevolezza che tutto è uno e che tutto è bene.

Dunque, ogni valore e ogni concetto, in definitiva, sono relativi alla mente che li concepisce.

il buddhismo, elaborato tramite il taoismo, divenne lo zen.

Ecco la sfera,
il fondamento della mia esistenza corporea.
Mi consuma di lavoro e doveri,
mi dà riposo nella vecchiaia,
mi dà pace nella morte.
Giacchè quello che mi ha fornito ciò di cui avevo bisogno (nella vita)
mi darà anche ciò di cui ho bisogno nella morte.

Amar se stessi quasi si fosse tutto è come affidarsi al mondo intero.

"Chi si sente punto", osserva il Tao Te Ching "deve essere stato una bolla"

La letteratura taoista abbonda di dialoghi con i confuciani (…) Un esempio tipico è contenuto nel racconto che vede protagonisti il taoista Chuang. Tzu e il confuciano Hui.Tze, i quali durante una passeggiata pomeridiana, giunsero a un ponte sul fiume Hao. "Guardate i pesciolini, come nuotano a loro agio! E' questa la gioia dei pesci", osservò Chuang.tzu. "Voi non siete un pesce", ribattè Hui-tze. "Come sapete qual è la gioia dei pesci?". "Voi non siete me", disse Chuang.tzu. "Come sapete che non so qual è la gioia dei pesci?".

Islam

Il nome esatto di questa religione è islam. Derivato dalla radice s-l-m. che significa principalmente "pace", ma in un senso secondario "abbandonarsi", la sua piena connotazione è data dalla "pace che nasce quando si abbandona la propria vita a Dio". Ciò rende l'islam (insieme con il buddhismo, da budh, "risveglio") una delle due religioni che prendono nome dalla caratteristica che cerca di coltivare: nel suo caso, l'abbandono totale della vita a Dio.

Letteralmente, la parola araba al-qur'an (da cui, poi, Corano) significa una recitazione. Assolvendo a questo fine, il Corano è forse il libro più recitato (nonchè letto) del mondo; è anche il libro più memorizzato del mondo, e forse quello che maggiormente  influenza i suoi lettori. La considerazione di Maometto per il suo contenuto era così grande che (come abbiamo visto) lo riteneva l'unico straordinario miracolo che Dio avesse compiuto per suo tramite - il "miracolo eterno", lo chiamava. Che proprio lui, tanto poco istruito da essere illetterato (ummi) e a stento capace di scrivere il proprio nome, avesse potuto produrre un libro che fornisce lo schema essenziale di tutto il sapere e che allo stesso tempo è grammaticalmente perfetto e impareggiabile dal punto di vista poetico…

Una volta riconosciuta la vita quale dono del suo Creatore, possiamo passare agli obblighi connessi, che sono due, il primo è di essere grati per la vita ricevuta. La parola araba per "infedele" tende in realtà a significare più "colui che manca di gratitudine" che qualcuno che manca di fede. Più si prova gratitudine, più si prova la naturale inclinazione a lasciare che la richezza che ne è parte scorra nella propria vita e verso gli altri, perchè accumularla sarebbe innaturale quanto arginare una cascata. L'ingrato, dice il Corano, "copre" o "nasconde" le benedizioni di Dio, e così facendo, non gode il legame con il Creatore che ogni istante fornisce.
Il secondo obbligo permanetne ci richiama al nome di questa religione. I primi paragrafi del capitolo ci hanno informato che islam significa "sottomissione", "abbandono", "resa", ma ora dobbiamo sondare questa caratteristica in profondità. Il pensiero della resa è così carico di connotazioni militari da richiedere uno sforzo consapevole per renderci conto che il termine può indicare un dono totale di sè, a una causa, o nell'amicizia e nell'amore. William James mostra come il concetto sia centrale in tutta la religione: " Perchè, quando tutto è stato detto e fatto, alla fine noi siamo assolutamente dipendenti dall'universo; e in mezzo a sacrifici e rinunzie di vario tipo, deliberatamente affrontati  e accettati, siamo come portati e spinti nelle nostre permanenti condizioni di riposo. Ora, in questi stati mentali che si distinguono dalla religione, la resa è accettata come una imposizione di necessità e il sacrificio sono abbracciati positivamente; anche le abnegazioni non necessarie sono aggiunte perchè possa aumentare la felicità. La religione rende così facile e lieto ciò che in ogni caso è necessario."

I fedeli sono esortati a essere costanti nella preghiera al fine di mantenere la propria vita nel seminato. Secondo il Corano, si tratta della lezione più difficile da imparare: le persone, sebbene siano ovviamente creature, che non hanno creato nè se stessi nè il mondo che abitano, non sembrano essere in grado si afferrare questo concetto, per cui continuano a porsi al centro di tutto, vivendo come se ciascuno facesse legge a sè; da qui si genera il caos. Alla domanda sul perchè i musulmani preghino, dunque, una risposta parziale è: in risposta all'impulso naturale della vita a rendere grazie per la propria esistenza. La risposta più profonda, però, è quella con cui abbiamo aperto il capoverso: per mantenere la vita nel seminato, ovvero per vederla in maniera obiettiva, il che implica di riconoscere la creaturalità dell'uomo di fronte al suo Creatore.

Benchè all'inizio si pregasse in direzione di Gerusalemme, successivamente una rivelazione coranica istruì la preghiera in direzione della Mecca; (…) al di là di quest'indicazione circa la direzione, il Corano non dice quasi nulla, ma a dare una struttura a questa mancanza si sono inseriti gli insegnamenti e le pratiche di Maometto. La preghiera, preceduta da abluzioni al fine di purificare il corpo e simbolicamente l'anima, inizia con una pstura eretta e composta, ma raggiunge il culmine quando l'orante si è profondamente  prostrato sulle ginocchia, con la fronte che tocca il pavimento. Questo è il momento più santo della preghiera, poichè ha in sè un duplice simbolismo. Da un lato, il corpo è in posizione fetale, pronto a rinascere. Dall'altro, è allo stesso tempo rannichiato nello spazio più ridotto possibile, che sta a significare la nullità umana di fronte al divino.

Dettagli a parte, la percentuale fissata dal Corano per la tassa era il 2 e mezzo. A confronto della decima dell'ebraismo (un paragone imperfetto, essendo la decima indirizzata più al sostentamento delle istituzioni religiose che al sussidio dei bisognosi) appare modesta finchè non scopriamo che si riferisce non solo al reddito, ma anche alle proprietà. I meno abbienti non devono niente, ma gli appartenenti alle classi di reddito medie e superiori dovrebbero annuamente distribuire tra i poveri un quarantesimo del valore di tutto ciò che possiedono. E a quali poveri andrebbe dato il denaro? Anche questo è prescritto: a quanti si trovano in stato di bisogno immediato; agli schiavi che stanno riscattandosi; ai debitori non in grado di far fronte ai propri obblighi; agli sconosciuti e ai viandanti; a coloro che raccolgono e distribuiscono l'elemosina.

Il qurto pilastro dell'islam è l'osservanza del Ramadan, il mese del calendario islamico, precisamente il decimo, considerato sacro poichè Maometto vi ricevette la prima rivelazione e (dieci anni dopo) compì la Hijra dalla Mecca a Medina. Per commemorare i due grandi eventi, durante il Rmadan i fedeli in buona salute (cioè che non siano malati o coinvolti in situazioni di crisi, come la guerra, o in viaggi improcrastinabili) digiunano. Dall'aurora al tramonto, per le loro labbra non passano nè cibo, nè bevande, nè fumo; solo dopo il tramonto ne è amesso un uso moderato. Dato che il calendario islamico è Lunare, rispetto all'anno solare il mese del Rmadan si sposta di volta in volta.

Rimane ancora, comunque, la questione della poligamia, o più precisamente poliginia. E' vero che il Corano permette a un uomo di avere fino a quattro mogli, ma si va affermando che l'idea che una lettura attenta della sua normativa ritenga ideale la monogamia. A sostegno delle tesi, c'è l'asserzione coranica: "ma se temete di non essere giusti con loro ne sposerete una sola". Altri passi dicono esplicitamente che "eguaglianza qui si riferisce non soltanto al mantenimento materiale ma all'amore e alla stima.

I versetti cruciali del Corano che toccano il tema della confersione sono i seguenti:
Non cè costrizione nella fede. (2,256)
A ognuno di voi abbiamo assegnato un rito e una via, ma se Dio avesse voluto avrebbe fatto di noi un'unica comunità e se non l'ha fatto è per mettervi alla prova in quel che vi ha donato. Fate a gara nelle cose buone, tutti ritorneranno a Dio ed Egli vi informerà di ciò su cui discordate. (5,48)

La radice della parola sufi è "lana", suf. Uno o due secoli dopo la morte di Maometto, in seno alla comunità i depositari del messaggio interiore dell'islam erano noti come sufi. Molti di loro indossavano abiti di lana grezza, in segno di protesta contro la seta e il raso degli sultani e dei califfi. Allarmati dalla prevalenza degli interessi mondani dell'islam, cercavano di purificarlo e di spiritualizzarlo dall'interno. Volevano recuperarne la libertà e l'amore, e restituirlo alla sua essenza più profonda, mistica. L'esteriorità doveva cedere il passo all'interiorità, la materia al significato, il simbolo esteriore alla realtà interiore: "Amate meno la brocca", gridavano, "e più l'acqua".

Poichè l'amore non è mai tanto evidente come quando il suo soggetto è assente, momento in cui l'importanza dell'amato non può essere trascurata, i poeti persiani soprattutto si sono soffermati sulle pene della separazione, per approfondire quell'amore per Dio che ci avvicinava a lui. Jalal-ad-din rumi usava il suono lamentoso del flauto di canna per simboleggiare questo tema: "Ascolta il flauto di canna, com'esso narra la sua storia,
com'esso triste lamenta la separazione:
"Da quando mi strapparano dal canneto,
ho fatto piangere uomini e donne il mio dolce suono!
Un cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dell'Amico, che possa spiegargli la passione del desiderio d'Amore;
Perchè chiunque rimanga lungi dall'Origine sua,
sempre ricerca il tempo in cui vi era unito."

La mistica d'amore genera "una conoscenza del cuore" e l'estasi "una conoscenza visiva o visionaria", poichè la realtà ultraterrene sono colte come visioni; il misticismo intuitivo, però, è fonte di "conoscenza mentale", che i sufi chiamano ma'rifa, ottenuta mediante un organo del discernimento denominato "occhi del cuore". (…) Via via che l'occhio del cuore acquista forza, le vesti divengono sempre più trasparenti. Sarebbe falso dire che il mondo è Dio - sarebbe panteismo. Ma, all'occhio del cuore, il mondo è Dio mascerato, Dio velato.

Il metodo principale impiegato dai sufi per andare oltre la maschera è il simbolismo. Poichè adopera oggetti visibili per parlare di cose invisibili, in genere il simbolismo rappresenta  il linguaggio della religione: è per essa ciò che i numeri sono per la scienza. I mistici, tuttavia, lo impiegano a un livello eccezionale; infatti, invece di fermarsi al primo oggetto spirituale simbolizzato, lo usano come trampolino per attingere un oggetto più elevato. Per questo al-Ghazali definì il simbolismo "la scienza della relazione tra molteplici livelli di realtà". Ogni versetto del Corano, dicono i sufi, ha almeno sette significati nascosti, numero che può talora arrivare a settanta.

I sufi, però, lo considerano un'estensione dell'insegnamento di Rabi'a, secondo cui "la tua esistenza è un peccato che non ha paragoni". Poichè existere significa "persi fuori" da qualcosa, in questo caso Dio, all'esistenza è legata la separazione.

I sufi svilupparono la dottrina del fanà "estinzione", quale termine logico della loro ricerca. Non si doveva estinguere la coscienza, bensì era la coscienza dell'io, ovvero la coscienza di se stessi quale sè separato, sazio di progetti individuali, a dover giungere a un termine. Secondo loro, una volta completamente estinta questa coscienza, la visione della nuda struttura interiore, svuotat dell'io, avrebbe mostrato null'altro che Dio.

Ho visto il mio Signore con gli occhi del Cuore. ho chiesto: "Chi sei?". Mi ha risposto: "Tu". Al-Hallaj

Uno degli strumenti d'insegnamento per cui sono famosi non è stato ancora citato: si tratta del racconto sufico. Il seguente, intitolato il racconto delle sabbie, esemplifica la dottrina del fana, la trascendenza, in Dio, del sè finito.
"Nato da remote montagne, un fiume solcò molte regioni per raggiungere finalmente le sabbie del deserto. Provò a superare quest'ostacolo così come aveva fatto con gli altri, ma si accorse che, man mano che scorreva nella sabbia, le sue acque sparifano. Era convinto, tuttavia, che era suo destino attraversare quel deserto, eppure non ci riusciva… Fu allora che una voce nascosta, proveniente dal deserto stesso, mormorò: "Il vento attraversa il deserto; il fiume può fare altrettanto". Il fiume obiettò che, sebbene si lanciasse contro la sabbia, l'unico risultato era di esserne assorbito, mentre il vento poteva volare e, quindi, attraversare il deserto.
"Lanciandoti nel tuo solito modo, il deserto non ti permetterà di attraversarlo. Potrai solo sparire o diventare una palude. Devi permettere al vento di trasportarti fino a destinazione".
"Ma com'è possibile?".
"Lasciandoti assorbire dal vento".
Era un'idea inaccettabile per il fiume. In fin dei conti, non era mai stato assorbito prima d'ora. Non voleva perdere la sua individualità: una volta persa, come essere sicuri di poterla ritrovare?
La sabbia rispose: "Il vento svolge questa funzione: assorbe l'acqua, la trasporta al di sopra del deserto, poi la lascia ricadere. Cadend sotto forma di pioggia, 'l'acqua ridiventa fiume".
"Come posso sapere che è la verità?".
"Eì così. Se non ci credi, potrai solo diventare una palude, e anche per questo ci vorranno anni e anni; e, comunque, non sarai più un fiume":
"Ma non posso rimanere lo stesso fiume?"
"In entrambi i casi non puoi rimanere lo stesso fiume", rispose il mormorio, "la parte essenziale di te viene portata via e forma di nuovo un fiume. Oggi porti questo nome perchè non sai quale parte di te è quella essenziale".
Queste parole risvegliarono certi echi nella memoria del fiume. Si ricordò vagamente di uno stato in cui egli - o forse una parte di sè - era stata tra le braccia del vento. Si ricordò anche - ma era veramente un ricordo? - che questa era la cosa giusta, e non necessariamente la cosa più ovvia da fare.
Allore il fiume innalzò i suoi vapori verso le braccia accoglienti del vento. Questi, dolcemente e senza sforzo, li sollevò e lì portò lontano, lasciandoli ricadere delicatamente non appena raggiunsero la cima di una montagnamolto, molto lontana. Ed è proprio perchè aveva dubitato, che il fiume potè ricordare e imprimere con più forza nella sua mente i dettagli della sua esperienza. "Si, ora conosco la mia vera identità". si disse.
Il fiume stava imparando. Ma le sabbie mormoravano: "Noi sappiamo, perchè lo vediamo accadere giorno dopo giorno e perchè noi, le sabbie, ci estendiamo dal fiume alla montagna". Ecco perchè si dice che la via che permette al fiume della vita di proseguire il suo viaggio è scritta nelle sabbie.

Ebraismo

Sebbene la Bibbia ebraica contenga riferimenti a dei diversi da YHWH (non correttamente letto Geova in molte traduzioni); questo non inficia l'affermazione che il contributo fondamentale dell'ebraismo al pensiero religioso del Medio Oriente sia stao il monoteismo. Una lettura ravvicinata del testo, infatti, mostra che questi altri dei differivano da YHWH: "Voi siete dei, siete tutti figli dell'Altissimo". In secondo luogo, diversamente da YHWH, erano mortali:" Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti". Si tratta evidentemente di differenze di tale rilievo da porre Dio d'Israle in una categoria diversa non soltanto in termini di grado, ma anche di tipologia. Quegli dei non possono rivaleggiare con YHWH: sono suoi subordinati. Da tempi molto antichi, forse già all'inizio della stesura della Bibbia, gli ebrei erano monoteisti.

Al versetto 6 dl salmo 8 si legge l'affermazione chiave ebraica riguardo al posto asseganto all'uomo : "Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli". L'ultima parola costituisce un vero e proprio errore di traduzione, giacchè il testo originale ebraico recita semplicemente : "poco meno degli dei (o di Dio)" - il termine ebraico elohim è indetrminato in quanto a numero. (…) Di un'unica accusa la Bibbia non è mai stata fatta oggetto: che i suoi personaggi non siano persone reali.

La parola "peccato" deriva da una radice che significa "mancare il bersaglio", cosa in cui gli esseri umani (nonostante la loro origine gloriosa) riescono di continuo. Pur dovendo essere nobili, di solito sono qualcosa di inferiore; pur dovendo essere nobili, di solito sono qualcosa di inferiore; Pur dovendo generosi, si negano agli altri. Pur creati per essere più di un animale, spesso si abbassano a essere soltanto questo. Però in queste "mancanze", il passo falso non è inevitabile. Gli ebrei non hanno mai messo indiscussione lalibertà umana. Il primo atto umano che viene ricordato comportava una libera scelta: Adamo ed Eva furono, è vero, sedotti dal serpente perchè mangiassero il frutto proibito dell'Eden, eppure avrebbero potutto resistere. Il serpente li tentò soltanto, dunque si tratta chiaramente del racconto di una aduta umana. Gli oggetti inanimati non possono essere diversi da ciò che sno e fanno quanto decretato dalla natura e dalle circostanze. Gli esseri umani, una volta creati, si costruiscono da sè successi o insuccessi, forgiando il proprio destino mediante le decisioni personali. "Cessate di fare il male, imparate a fare il bene", questo comando vale solo per gli esseri umani.

Oggi l'appelativo "profeta" o la parola "profezia" ci portano alla mente l'idea di un indovino, ovvero di qualcuno che predice il futuro. Ma non è il significato originario della parola. "Profeta" deriva dal greco prophetes, vocabolo nel quale pro significa "per" e phetes significa "parlare" Dunque, nell'origniale greco, u profeta è qualcuno che "parla per" qualcun altro. Troviamo lo stesso significato nell'ebraico antico. Quando Dio incarna Mosè  di esigere dal faraone la liberazione del proprio popolo e mosè protesta di non saper parlare, Dio dice: "Aronne, tuo fratello, sarà il profeta".
Se per gli ebrei il senso generico del termine era "uno che parla per autorità di un altro", il significato specifico usato per fare riferimento aun determinato gruppo di persone di epoca biblica era "uno che parla per Dio". Un profeta differiva dagli altri uomini per il fatto che la sua mente, i suoi discorsi, e occasinalmente perfino il suo corpo, potevano diventare il canale tramite cui Dio interveniva sulle circostanze storiche del momento

L'idea di progresso, ovvvero la convinzione che le condizioni della vita possano migliorare, e dunque la storia possa avere una meta, ha avuto origine in Occidente.

La speranza ha amggiore presa sul cuore umano se assume forme concrete, perciò alla fine la speranza degli ebrei venne personificata dalla figura di un futuro messia. Letteralmente, Messia (dall'ebraico mashiah) significa "unto", ma, dal momento  che re e sommi sacerdoti erano unti con l'olio, il termine divenne un tittolo onorifico, indicante qualcuno che re stato elevato o "scelto". (…) il titolo onorifico di Messia fu adoperato per designera la persona che li avrebbe riscattati da quella diaspora.

Cristianesimo

Una seconda caratteristica impressionante del linguaggio di Gesù era la maniera invitante di porre le cose. Invece di dire alle persone che cosa fare o in che cosa credere, le invitava a vedere le cose in modo diverso, fiducioso che il loro comportamento sarebbe cambiato di conseguenza.

Questa espressione, "disposizione all'assenso", è importante, perchè il suo significato più profondo è che gesù non fondeva l'autorità dei propri insegnamenti  in se stess, o in un Dio lontano, ma nei cuori degli ascoltatori. I miei insegnamenti sono veri, diveva in sostanza, non perchè provengono da me, e nemmeno da Dio per mio tramite, ma perchè (contro ogni convenzionalità) i vostri cuori stessi ne attestano la verità.

Eppure i suoi insegnamenti sono i più ripetuti della storia. "Ama il prossimo tuo come te stesso", "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro", "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi"

La loro bellezza non nasconderebbe il fatto che sono "parole dure", in quanto presentano uno schema di valori così diverso dal solito da farci tremare come un terremoto. Ci viene detto che non dobbiamo opporre resistenza al male, ma porgere l'altra guancia. Il mondo parte dal presupposto che al male si debba resistere con ogni mezzo. Ci viene detto di amare i nostri nemici e di benedire coloro che ci maledicono. Il mondo parte dal presupposto che gli amici vadano amati e i nemici odiati. Ci viene detto che il sole sorge sui giusti e sugli ingiuri. Il mondo considera questa una forma una forma di indiscrimazione, preferirebbe vedere nuvole sui malvagi e si ritiene offeso quando essi sfuggono alla punizione. Ci viene detto che gli emarginati e le prostitute  precederanno nel regno di Dio molti che sono giusti solo superficialmente. Di nuovo, non è giusto pensa il mondo: le persone rispettabilei dovrebbero stare alla testa della precessione. Ci viene detto che la porta della salvezza è stretta. Il mondo preferirebbe fosse larga. Ci viene detto di essere spensiserati come gli uccelli e i fiori. Il mondo consiglia prudenza. Ci viene detto che è più difficile che un ricco entri nel Regno dei Cieli che un cammello passi dall cruna di un ago. Il mondo ammira la ricchezza. Ci viene detto beati i miti, coloro che piangono, i misericordiosi e i puri di cuore. Il mondo parte dal presupposto che i ricchi, i potenti e le persone di buona famiglia sono felici. Il grande filosofo russo Nikolaj Berdjaev disse che attraverso questi insegnamenti soffia un vento di libertà che spaventa il mondo e ci fa desiderare di deformarli rinviandone la messa in atto - non ancora, non ancora! Herbert George Wells evidentemente aveva ragione: o c'era qualcosa di folle in quest'uomo, o i nostri cuori sono ancora troppo piccoli per accogliere il suo messaggio.

Diciamo che si tratta di un'etica che tende alla massima perfezione (una maniera educata per dire che è irrealistica) perchè ci chiedi amare senza riserve. Ma la ragione per cui la consideriamo irrealistica, avrebbe risposto gesù, è perchè non sperimentiamo l'amore costante, illimitato, che scorre da Dio a noi. Se davvero lo sperimentassimo, sorgerebbero comunque problemi. A quali tra gli innumerevoli bisognosi si dovrebbero assicurare le nostre limitate forniture di cappe e mantelli? Se l'obiettivo del male è un altro e non io, non dovrei per questo opporgli resistenza? Gesù non ha fornito un manuale d'istruzione per facilitare le scelte difficili. Ciò che ci ha mostrato con la sua parola è l'atteggiamento con cui affrontarle. Tutto quello che possiamo sapere in anticipo, nell'affrontare le dure esigenze di un mondo complicato, è che dovremmo rispondere ai bisogni del nostro prossimo, nessuno escluso - e nella misura in cui possiamo prevedere le conseguenze dei nostri atti - , non in proporzione a quelli che giudichiamo essere i loro meriti, ma in proporzione a quelli che giudichiamo essere i loro meriti, ma in proporzione al loro bisogno. Qunato ci costa non dovrebbe avere alcuna importanza.

Predicando quello che ha assunto il nome di Vangelo ma che, se tradotto lettarelmente, sarebbe chiamato Buona Novella.

Poichè le lettere greche che formano la parola pesce sono anche le iniziali delle parole greche per "Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore".

L'amore mette radici nei bambini soltanto quando viene loro trasmesso, inizialmente soprattutto da genitori premurosi. Dal punto di vista ontogenetico, l'amore è un fenomeno di risposta. è letteralmente una risposta  (…) se anche noi ci sentissimo amati, non in senso astratto o in linea di principio, bensì in modo vivo e personale, da qualcuno che riunisce in sè tutta la forza e la perfezione, questa esperienza potrebbe dissolvere per sempre la nostra paura, il nostro senso di colpa e il nostro egoismo. Come disse Kierkegaard, se in ogni momento, presente e futuro, fossi certo che nulla sia mai successo possa mai succedere in grado da separarci dall'amore infinito dell'Infinito, questo sarebbe motivo di grande gioia.

la famosa esclamazione di Haldane che "l'universo non è soltanto più strano di quanto supponiamo, ma è più strano di quanto siamo in grado di supporre".

Quella volontà divina, e la vita di Gesù, conduceva a una concezione della divinità diversa da quella che il mondo mediterraneo aveva avuto fino a quel momento. Nella visione cristiana, Dio si interessava all'umanità; se ne interessava al punto da soffrire per la sua salvezza. Un concetto inaudito, al punto tale da suscitare una reazione d'incredulità, e di allarme. Agli occhi dei conservatori, che si sentirono minacciati, una simile bestemmia, aggiunta all'egualitarismo della visione sociale cristiana, giustificò la persucazione purchè si togliesse di mezzo quella nuova setta.

religioni tribali

Tutto ciò che i loro antenati hanno imparato con difficoltà, dalle erbe curative alle leggende più emozionanti, adesso è immagazzinato nella loro mente collettiva e soltanto lì. (…) Ciascuno alimenta la riserva viva del sapere, ricevendo allo stesso tempo in cambio il flusso di informazioni che modella e nutre la propria vita. Ogni membro della tribù ne diviene la biblioteca mobile.

Due anedotti, entrmbi riguardanti la tribù Onondaga delle Hau de no sau nee (le sei nazioni del nord dello stato di New York), spiegano bene questo punto. Oren Lyons fu il primo onondaga a iscriversi al liceo. Quando tornò alla propria riserva per, la sua prima vacanza, suo zio gli propose una gita sul lago per pescare. Una volta portato il nipote nel bel mezzo del lago, esattamente dove voleva condurlo, cominciò a interrogarlo. "Bè, Oren", disse, "Ora che sei stato al liceo devi essere abbastanza intelligente, grazie a tutto quello che ti hanno insegnato. Permettimi di farti una domanda. Chi sei?".  Preso alla sprovvista, Oren annaspò alla ricera di una risposta. "Che cosa intendi per chi sono? Sono tuo nipote, naturalmente". Lo zio rifiutò la risposta e ripetè la domanda. Una risposta dopo l'altra, il nipote provò a dire che era Oren Lyons, un onondaga, un essere umano, un uomo, un giovane, invano. Quando lo zio l'aveva ormai ridotto al silenzio e fu lui a chiedere di essere informato su chi fosse, lo zio disse: "Vedi quella scoglierà laggiù? tu sei quella scogliera. E quel pino gigantesco sull'altra sonda? Tu sei quellapino. E quest'acqua che sostiene la nostra barca? Tu sei quest'acqua".

dalla prospettiva   occidentale, nella quale il tempo è lineare, non c'è altra maniera di esprimere il concetto. In quella primitiva, però, il tempo non è lineare, ovvero una linea retta che va dal passato al presente al futuro . Non è nemmeno ciclico, come tendono a considerarlo le religioni orientali, una ruota che gira, come fanno il mondo e il ciclo delle stagioni. Nelle religioni primitive, il tempo è atemporale, un eterno ora. Parlare di tempo atemporale o senza tempo appare paradossale, ma così non è se si tiene presente che in quella visione  il tempo consiste in una sequenza casuale piuttosto che cronologica: per i popoli primitivi, "passato" significa soprattutto più vicino alla Sorgente che da origine alle cose. Che la Sorgente precede il presente è di secondaria importanza. La parola Sorgente viene qui adoperata per fare riferimento agli dei che, là dove non crearono di fatto il mondo, lo rodinarono conferendogli la sua struttura adeguata. Quegli dei continuano a esistere, naturalmente, ma ciò non sposta l'interesse al presente, poichè il passato continua ad essere considerato L'Età dell'Oro. Quando la creazione divina non aveva ancora subito alcun attacco del tempo o le conseguenze di una cattiva gestione, il mondo era come dovrebbe essere.

Se vogliamo analizzare un tratto della visione primitiva che le religioni storiche hanno in gran parte abbandonato, consideriamo come essa tenda a classificare gerarchicamene gli esseri in base alla loro prossimità con la fonte divina. Così, gli animali sono in gran parte venerati per la loro "anteriorità"; (…) Il principio si apllica anche agli uomini, i cui antesignani sono maggiormente venerati rispetto ai loro discendenti, considerati alla stregua di epigoni. I popoli primitivi nutrono un enorme rispetto per i propri antenati.

La tribù, a sua volta, è parte integrante della natura e, di nuovo, così solidalmente che non è facile  stabilire una linea di distinzione tra le due. Anzi, nel caso del totemismo, questa linea non esiste. (…) Il contrario di un mondo fatto di integrazioni  è un mondo fatto di integrazioni è un mondo fatto di scissioni e segregazioni, per cui esaminando la vita primitiva noteremo la relativa assenza di quelle due caratteristiche.

Ogni cosa è viva e dipende da tutte le altre. Proseguendo in questa riflessione sull'integrazione universale, si arriva a un punto in cui la prospettiva si capovolge e ci si ritrova a considerare non i popoli primitivi integrati nella natura, ma la natura che, cercando se stessa, si espande, per entrare profondamente in essi, infondendosi per essere modellata.

Per  esempio, "tra le lingue degli indiani d'America non c'è nessuna parola per "arte", perchè per gli indiani tutto è arte". Analogamente, tutto è, a suo modo, religioso

il concetto è espresso nei seguenti termini dell'amico di Alce Nero, che abbiamo già menzionato: E' spesso difficile per coloro che guardano la religione pellirossa dall'esterno, o mediante la mente "erudita", comprendere (…che) Nessun oggetto, per loro, è ciò che sembra essere, ma è soltanto la pallida ombra di una Realtà. Perciò ogni oggetto creato è wakan, sacro, e possiede un potere in proporzione al grado di realtà spirituale che riflette. (…) L'indiano s'umilia dinanzi a tutta la creazione, (…) perchè tutte le cose visibili sono state create prima di lui e, essendo più antiche, meritano rispetto.

Il mistero rappresenta quel tipo di problema che per la mente umana non ha soluzione: più comprendiamo qualcosa di esso, più diventiamo consapevoli della presenza di altri elementi che non riusciamo a capire. Nel mistero ciò che sappiamo e il nostro renderci conto di ciò che non sappiamo vanno di pari passo; più grande è l'isola della conoscenza, più sono lunghi i contorni prodigiosi della costa.

Le cose son più integrate di quanto sembrino, sono migliori di quanto sembrino e sono più misteriose di quanto sembrino; qualcosa di simile emerge dalle tradizioni sapienzali come massimo comun denominatore. Se a ciò aggiungiamo la soglia che esse stabiliscono per il comportamento etico e la loro descrizione delle virtù umane, ci si chiede se si mai stato concepito un sistema più saggio in base al quale vivere. Al centro della vita religiosa vi è una gioia particolare, la prospettiva di un lieto fine - che per poter sbocciare presuppone inizi necessariamente dolorosi -, nonchè la promessa di abbracciare e superare le difficoltà umane. Nella nostra vita quotidiana, cogliamo soltanto cenni di questa gioia. Quando finalmente essa si realizza, non sappiamo se la nostra felicità sia la cosa più rara o più comune al mondo; la troviamo, la doniamo  e la riceviamo, infatti, in tutte le cose terrene, eppure non possiamo trattenerla. Quando godiamo di quei sentimenti, non ci pare affatto strano di essere così felici, ma, guardandoci indietro, ci chiediamo come una ricchezza simile sia potutta diventare nostra. L'opportunità concessa all'umanità, ci dicono le religioni, è trasformare i nostri lampi di intuizione in luce duratura.



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