venerdì 29 novembre 2013
Cake Walke Dancing History and (Video)
The Cake-Walk or Cakewalk was a dance developed from the "Prize Walks" held in the late 19th century, generally at get-togethers on slave plantations in the Southern United States. Alternative names for the original form of the dance were "chalkline-walk", and the "walk-around". At the conclusion of a performance of the original form of the dance in an exhibit at the 1876 Centennial Exposition in Philadelphia, an enormous cake was awarded to the winning couple. Thereafter it was performed in minstrel shows, exclusively by men until the 1890s. The inclusion of women in the cast "made possible all sorts of improvisations in the Walk, and the original was soon changed into a grotesque dance" which became very popular across the country. The authors of Jazz Dance: The Story of American Vernacular Dance reported that an early 1950s experiment with African guests turned up "no worthy African counterpart" to the Cakewalk.[2] First person accounts In the 1981 article "The Cakewalk: A Study in Stereotype and Reality" Brooke Baldwin cites "an almost exhaustive compilation of those accounts which have been found so far".[3] This compilation consists of eyewitness accounts by ex-slaves from Virginia and Georgia recorded by WPA researchers in the 1930s, along with second hand accounts from other sources. Baldwin notes that "when the researchers of the Federal Writer's Project of the WPA interviewed aged ex-slaves in the 1930s, there was no longer any need to suppress information about the happier moments of slave life."[4] Louise Jones: "de music, de fiddles an' de banjos, de Jews harp, an' all dem other things. Sech dancin' you never seen before. Slaves would set de flo' in turns, an' do de cakewalk mos' all night."[4] Georgia Baker said that she sang a song when she was a child. "Walk light ladies, De cake's all dough" She laughed and added, "Us didn't know it when we was singin' dat tune to us chillun dat when us growed up us would be cakewalkin' to de same song".[5] Estella Jones: "Cakewalkin' was a lot of fun durin' slavery time. Dey swep yards real clearn and set benches for de party. Banjos wuz used for music makin'. De women's wor long, ruffled dresses wid hoops in 'em and de mens had on high hats, long split-tailed coasts, and some of em used walkin' sticks. De couple dat danced best got a prize. Sometimes de slave owners come to dese parties 'cause dey enjoyed watchin' de dance, and dey 'cided who danced de best. Most parties durin' slavery time, wuz give on Saturday night durin' work sessions, but durin' winter dey wuz give on most any night."[6] Second hand, oral tradition accounts A South Carolinian told of Griffin, a fiddler who played for the dances of the whites as well as for the "annual cakewalks of his own people".[6] A story told to him by his childhood nanny in 1901 was repeated by 80 year old actor Leigh Whipple, "Us slave watched white folks' parties where the guests danced a minuet and then paraded in a grand march, with the ladies and gentlemen going different ways and then meeting again, arm in arm, and marching down the center together. Then we'd do it too, but we used to mock 'em every step. Sometimes the white folks noticed it, but they seemed to like it; I guess they thought we couldn't dance any better."[6]
Ex-ragtime entertainer Shepard
Edmonds recounted, in 1950, memories related to him by his parents from Tennessee; "...the cake walk was originally a plantation dance, just a happy movement they did to the banjo music because they couldn't stand still. It was generally on Sundays, when there was little work, that the slaves both young and old would dress up in hand-me-down finery to do a high-kicking, prancing walk-around. They did a take-off on the manners of the white folks in the "big house", but their masters, who gathered around to watch the fun, missed the point. It's supposed to be that the custom of a prize started with the master giving a cake to the couple that did the proudest movement."[6] Baldwin concludes that the Cakewalk was meant "to satirize the competing culture of supposedly 'superior' whites. Slaveholders were able to dismiss its threat in their own minds by considering it as a simple performance which existed for their own pleasure" (p. 211).[7] Tom Fletcher, who was born in 1873 and had a show business career beginning in 1888,[8] wrote in 1954 that when he was a child, his grandparents told him about the chalk-line walk/cakewalk, but they did not know when it started.[9] Fletcher's grandfather told him, "your grandmother and I, we won all the prizes and were taken from plantation to plantation. The dance became a great fad. It took skill and good nerves...The plantation is where shows like yours first started, son."[10] Fletcher adds that the dance was called the "chalk like walk" and "There was no prancing, just a straight walk on a path made by turns and so for
Estratti dal libro "Il cantore dell'immaginario" Lèo Ferrè + (Video)
La proprietà? bisogna cambiare la parola. Sono proprietario del mio diritto di rivendicare "questa" proprietà, oggetto del mio desiderio e la cui sanzione possessiva è rimessa solo al denaro che mi occorre per diventarne il padrone, a meno che io non mi sia deciso a trasgredire l'ordine stabilito e a impossessarmi di forza o con l'astuzia di un bene che io considero, da sempre, dovermi appartenere. E ciò che mi appartiene, posso farlo a pezzi; è questo il diritto di proprietà: il diritto di distruggere.
Che cos'è il "Mio" se non una convenzione comprata? La mia quercia è mia, la mia quercia è centenaria. Una versone più sana mi dovrebbe dire che è di chi l'ha piantata, della quercia madre della libera natura, del paesaggio di cui essa è un punto mobile nella tempesta o statico nel blu dell'estate. Che è di se stessa, insomma! Il mio rene è mio...
Senza la parola che gli dà un nome non c'è albero. Noi facciamo le nostre catene: con la regola, con le parole. Per parola intendo - è ovvio - l'immediato concetto che m'inchioda al discorso interiore.
I postulati, i teoremi, il quid eterno che è la nostra condizione di homo curiosus, tutto ci porta verso soluzioni di alterità a problemi costruiti da noi. L'enunciato di un problema è sospetto per il fatto stesso di esprimersi in un linguaggio convenzionale.
so di assasini che non hanno vittime
che fanno la coda per vedere il sangue sullo schermo
Noi siamo dei cani e i cani quando fiutano la compagnia si agitano, si sbarazzano del collare e posano l'osso come si posa la sigaretta quando si deve fare qualcosa d'urgente tanto più se l'urgenza consiste in un 'idea da sbattervi in faccia.
domenica 3 novembre 2013
Stanno distruggendo l’omeopatia + petizione per slavare i medicinale omeopatici
A due secoli dalla
pubblicazione del libro “Organon dell’Arte di guarire” del medico
sassone -Samuel Hahnemann (1755-1843), padre dell’omeopatia, si stanno
verificando dei fatti gravissimi.
Pochi ovviamente ne parlano. I media mainstream e i giornalisti embedded, come sempre tacciono, ma l’intero mondo dell’omeopatia è in serio pericolo a causa di manovre politico-economiche-amministrative che lo vogliono letteralmente e praticamente distruggere.
Pochi ovviamente ne parlano. I media mainstream e i giornalisti embedded, come sempre tacciono, ma l’intero mondo dell’omeopatia è in serio pericolo a causa di manovre politico-economiche-amministrative che lo vogliono letteralmente e praticamente distruggere.
Partiamo
dall’inizio, cioè dall’aggiornamento delle tariffe dell’Agenzia italiana
dei farmaci, l’AIFA.
Sono stati interpellati i dirigenti dell’agenzia, ma nessuno ha spiegato il motivo per cui le tariffe di registrazione dei prodotti omeopatici hanno avuto, di punto in bianco, un aumento di 700 volte rispetto alle tariffe precedenti! Qualcosa senza precedenti.
«L’AIFA ci impone burocrazia e costi tali che ci costringeranno a chiudere bottega dopo trent’anni di attività sempre in crescita (più 12% nel 2013)» denuncia Alessandro Pizzoccaro patron della Guna, un colosso italiano, che in piena crisi fattura 160 milioni l’anno e dà lavoro a 1.200 addetti.
«Oggi la super tassa del governo rischia di distruggere tutto».
Sono stati interpellati i dirigenti dell’agenzia, ma nessuno ha spiegato il motivo per cui le tariffe di registrazione dei prodotti omeopatici hanno avuto, di punto in bianco, un aumento di 700 volte rispetto alle tariffe precedenti! Qualcosa senza precedenti.
«L’AIFA ci impone burocrazia e costi tali che ci costringeranno a chiudere bottega dopo trent’anni di attività sempre in crescita (più 12% nel 2013)» denuncia Alessandro Pizzoccaro patron della Guna, un colosso italiano, che in piena crisi fattura 160 milioni l’anno e dà lavoro a 1.200 addetti.
«Oggi la super tassa del governo rischia di distruggere tutto».
Anche Silvia
Barbieri, della ditta Iride 2000, non lascia spazio a molti dubbi: "Il
costo altissimo richiesto dal
Ministero per la
registrazione ed i tempi
tecnici per la presentazione dei documenti,
impossibili da rispettare,
faranno sì che molti omeopatici non
potranno essere registrati e quindi non saranno più reperibili
in Italia, mentre lo saranno negli altri paesi della comunità europea.
Le aziende italiane si vedranno ridurre notevolmente il
fatturato a favore di società oltre confine, saranno costrette a
ridimensionare il numero dei loro
dipendenti, tutto l'indotto perderà lavoro e personale (grossisti,
informatori scientifici, ecc) con gravissimi danni per le aziende, i
medici omeopati ed i pazienti.
Sottolineo infine che nella maggior parte dei paesi della Comunità europea, il costo delle visite del medico omeopata e/o dell’Heilpraktiker (naturopata) e il costo dei medicinali omeopatici prescritti, così come dei prodotti erboristici, sono a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre in Italia sono a carico del paziente”.
Sottolineo infine che nella maggior parte dei paesi della Comunità europea, il costo delle visite del medico omeopata e/o dell’Heilpraktiker (naturopata) e il costo dei medicinali omeopatici prescritti, così come dei prodotti erboristici, sono a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre in Italia sono a carico del paziente”.
Come non dar
ragione a Barbieri e Pizzoccaro, visto che a produttori e importatori,
la famosa registrazione, l’AIC, l’Autorizzazione all’Immissione in
Commercio, costerà 3062,40 euro a farmaco fino a 10 diluizioni (non è
ancora definitiva a causa di un ricorso al TAR del Lazio: la sentenza è
prevista per gennaio 2014). Non solo, ma per mantenere l’iscrizione dei
25.000 prodotti omeopatici esistenti, bisognerà poi sborsare 200 euro
l’anno ciascuno! Una follia, da un certo punto di vista, che però
nasconde una strategia ben mirata e congegnata, visto che vi sono molte
aziende che producono migliaia di prodotti. Pochissime di queste aziende
potranno sostenere simili spese.
La scadenza data
in precedenza per la presentazione dei documenti per la registrazione
dei farmaci era il 31 dicembre 2015.
Invece il 10 settembre 2013 l'AIFA ha convocato le aziende che producono e distribuiscono omeopatici a Roma annunciando che, visto l'elevato numero di domande di registrazione da valutare (25.000), ha previsto due fasi per la consegna dei documenti.
La prima fase da ottobre 2013 a luglio 2014, la seconda da settembre 2014 a giugno 2015.
Invece il 10 settembre 2013 l'AIFA ha convocato le aziende che producono e distribuiscono omeopatici a Roma annunciando che, visto l'elevato numero di domande di registrazione da valutare (25.000), ha previsto due fasi per la consegna dei documenti.
La prima fase da ottobre 2013 a luglio 2014, la seconda da settembre 2014 a giugno 2015.
L'AIFA ha scoperto
solo ora che deve controllare entro il 2015 circa 25.000 prodotti
omeopatici? Eppure l'ultimo elenco dei medicinali omeopatici in
commercio é stato presentato il 24 maggio del 2012.
Nonostante questo, il 17 settembre di quest’anno le aziende hanno ricevuto il calendario di presentazione dei documenti. Questa manovra fa comprendere appieno la volontà di eliminare l'omeopatia e distruggere le aziende. Infatti, moltissime aziende dovrebbero presentare la documentazione ad esempio per 20/30 omeopatici a partire dal 30 ottobre 2013 e questo è praticamente impossibile: non ci sono i tempi tecnici per compilare i moltissimi documenti richiesti per ogni diluizione.
Nonostante questo, il 17 settembre di quest’anno le aziende hanno ricevuto il calendario di presentazione dei documenti. Questa manovra fa comprendere appieno la volontà di eliminare l'omeopatia e distruggere le aziende. Infatti, moltissime aziende dovrebbero presentare la documentazione ad esempio per 20/30 omeopatici a partire dal 30 ottobre 2013 e questo è praticamente impossibile: non ci sono i tempi tecnici per compilare i moltissimi documenti richiesti per ogni diluizione.
Le aziende
italiane, a differenza di quelle europee, si trovano in questa
situazione complicata e difficile per colpa dell’AIFA che ha spedito
loro le informazioni utili per la preparazione dei documenti con ben 2
anni di ritardo rispetto alla data stabilita dalla comunità europea.
Perché questo grave ritardo? Semplice incompetenza burocratica o strategia mirata?
Perché questo grave ritardo? Semplice incompetenza burocratica o strategia mirata?
Tutto questo vale
per i medicinali omeopatici già registrati in passato. Dal 1995 nessuna
azienda italiana ha chiesto la registrazione di nuovi prodotti
omeopatici,
salvo una
che, dopo aver spedito i documenti e
le varie integrazioni richieste si é vista rifiutare la registrazione
e senza motivazione.
Oggi la tassa di registrazione di un nuovo prodotto richiesta dall’AIFA è di ben 26.000 euro!
Oggi la tassa di registrazione di un nuovo prodotto richiesta dall’AIFA è di ben 26.000 euro!
L’Italia, per
coloro che non lo sanno, è (e tra poco era) il terzo mercato europeo per
i medicinali omeopatici, quindi un mercato molto florido e importante
per le industrie del settore, e quindi un mercato scomodo per le lobbies
della chimica di sintesi, per Big Pharma.
Sempre più persone nel mondo si sono avvicinate e si stanno avvicinando all’omeopatia, grazie anche al fallimento della medicina ufficiale e alla crescita esponenziale delle patologie cronico-degenerative. Stiamo parlando di un mercato che interessa da 11 a 15 milioni di persone in Italia.
Un mercato che non può non fare gola ai colossi farmaceutici che si sono visti soffiare da sotto il naso intere fette di mercato, che tradotto in altri termini, miliardi di euro all’anno.
Sempre più persone nel mondo si sono avvicinate e si stanno avvicinando all’omeopatia, grazie anche al fallimento della medicina ufficiale e alla crescita esponenziale delle patologie cronico-degenerative. Stiamo parlando di un mercato che interessa da 11 a 15 milioni di persone in Italia.
Un mercato che non può non fare gola ai colossi farmaceutici che si sono visti soffiare da sotto il naso intere fette di mercato, che tradotto in altri termini, miliardi di euro all’anno.
Ma cerchiamo di
capire cosa sta succedendo
L’AIFA - che ricordiamo essere uno degli strumenti operativi delle multinazionali della chimica - di punto in bianco pretende per i prodotti omeopatici, tutte le analisi chimiche e laboratoristiche come se fossero farmaci chimici.
Ci hanno sempre detto che gli omeopatici NON sono farmaci, addirittura qualcuno in tivù continua a paragonarli all’“acqua fresca”, eppure adesso vogliono tutte le analisi, come se fossero veri e propri farmaci. Come mai un simile cambio di rotta?
Le analisi costano moltissimi soldi e sono tutte a carico dei produttori, e questo è uno dei motivi per cui molte ditte hanno chiuso o stanno chiudendo.
L’AIFA - che ricordiamo essere uno degli strumenti operativi delle multinazionali della chimica - di punto in bianco pretende per i prodotti omeopatici, tutte le analisi chimiche e laboratoristiche come se fossero farmaci chimici.
Ci hanno sempre detto che gli omeopatici NON sono farmaci, addirittura qualcuno in tivù continua a paragonarli all’“acqua fresca”, eppure adesso vogliono tutte le analisi, come se fossero veri e propri farmaci. Come mai un simile cambio di rotta?
Le analisi costano moltissimi soldi e sono tutte a carico dei produttori, e questo è uno dei motivi per cui molte ditte hanno chiuso o stanno chiudendo.
Organoterapia e
nosodoterapia
Nuovo codice dei medici: scompare il giuramento di Ippocrate
Il nuovo codice
deontologico dei medici subisce delle modifiche riguardanti alcuni
elementi importanti della professione. Al momento si tratta di una
bozza, ma nel testo messo a punto dal Comitato centrale della
Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), e
all'attenzione delle varie federazioni locali, vi sono molte novità. In
alcuni casi si tratta di sfumature semantiche che stanno però sollevando
la protesta dei camici bianchi. Il testo contiene aperture sulla
fecondazione assistita, una stretta sulle terapie alternative, la
scomparsa di alcune parole chiave come libertà, indipendenza e dignità.
Scompare anche il termine 'paziente' che sarà sostituito da 'persona
assistita'.
Il primo
cambiamento riguarda uno dei simboli della professione: il giuramento
d'Ippocrate. Mentre nel vecchio codice (2006) ancora in vigore si dice
in modo chiaro che “il medico deve prestare giuramento professionale”,
il nuovo testo recita: “L'iscrizione all'Albo vincola il medico ai
principi del giuramento professionale e al rispetto delle norme del
presente codice di deontologia medica”. Rimane pertanto solo il
riferimento ai principi, ma non viene meno l'obbligo di formale
giuramento.
Tra le modifiche
più discusse e delicate vi sono quelle riguardanti i doveri del medico
in materia di fecondazione assistita. Scompaiono infatti dalla nuova
bozza quei paletti fissati nel codice del 2006.
Viene meno infatti
la parte che recita: “E' fatto divieto al medico, anche
nell'interesse del bene del nascituro, di attuare: forme di maternità
surrogata; forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie
eterosessuali stabili; pratiche di fecondazione assistita in donne in
menopausa non precoce; forme di fecondazione assistita dopo la morte del
partner”. Secondo il nuovo testo “i trattamenti di procreazione
medicalmente assistita, quali atti esclusivamente medici, sono
effettuati nelle condizioni e secondo le modalità previste
dall'ordinamento vigente”.
L'articolo del
nuovo codice che sta facendo più discutere i medici è il 22, che parla
dell'obiezione di coscienza. Se oggi “il medico al quale vengano
richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo
convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo
comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della
persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e
chiarimento”, in base al nuovo testo “il rifiuto di prestazione
professionale anche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti è
consentito al medico quando vengano richiesti interventi che contrastino
con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici”. Sparisce
pertanto il contrasto con la propria coscienza. Così come scompare
pure la formula "grave e immediato" legata al nocumento per la salute
della persona assistita.
Contestato anche
l'articolo 13, che stabilisce i doveri del medico nel campo delle
prescrizioni diagnostico-terapeutiche. La nuova formulazione prevede che
il camice bianco è tenuto a seguire “le linee guida
diagnostico-terapeutiche prodotte e accreditate da fonti autorevoli e
indipendenti” e se non lo fa deve motivare le sue scelte. I medici
temono una sorta di apertura a possibili sanzioni a danno di chi propone
cure innovative ed una limitazione della propria autonomia. Rispetto al
vecchio codice nell'articolo sparisce la parola 'etica', sostituita con
'deontologia'.
Il nuovo codice
affronta anche la questione del testamento biologico. Se esiste una
dichiarazione anticipata di trattamento, “espressa in forma scritta,
sottoscritta e datata da persona capace”, il medico deve "tenerne
conto". A prescindere, quindi, dalle sue valutazioni, "dall'autonomia
e dall'indipendenza che caratterizza la professione", così come
recita il testo del 2006.
Tra gli articoli
incriminati vi è anche il numero 4. Se nel testo del 2006 si dice che “il
medico deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori
etici della professione, assumendo come principio il rispetto della
vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità
della persona”, la nuova formulazione non parla più di "valori
etici della professione" ma afferma che sul piano tecnico operativo
il medico è tenuto “ad adeguarsi alle più aggiornate evidenze
scientifiche”.
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